Cent’anni dopo: A che cosa serve la psicologia?

 

Felice PERUSSIA (1999). Cent’anni dopo: A che cosa serve la psicologia? Milano: Guerini.

 

Giunge a compimento il secolo della psicologia, nata a fine Ottocento nel laboratorio sperimentale, consolidatasi poi nell’attività clinica, e traboccata infine nei mille percorsi del lavoro sociale diffuso.

In questi cento anni il movimento psicologico è completamente mutato. La realtà professionale ha sopravanzato quella accademica. Gli psicologi hanno preso il posto della psicologia. Il modello della ricerca di base, così come quello della psicoterapia, non sono più sufficienti a soddisfare la crescente domanda soggettiva che emerge dalla società. Più che a guarire una presunta malattia o ad applicare una precaria scienza di base, lo psicologo si adopera nelle situazioni più disparate, dalla riabilitazione ai problemi sociali, dalle tossicodipendenze al marketing, dai tribunali allo sport, dalla scuola alle telecomunicazioni. In sintesi: la sua attività – tesa alla facilitazione di competenze e alla formazione personale – non riflette che pallidamente, ormai, la luce dei laboratori sperimentali o la penombra del lettino in studio.

E’ dunque venuto il momento di capire il senso di tale evoluzione. Capire, in conclusione, che cosa è e a che cosa serve veramente la psicologia, per liberarsi di una visione convenzionale e limitativa della disciplina che tuttavia ne domina ancora l’ideologia ufficiale, e per aiutarla a esprimere lo straordinario potenziale che continua a nutrire dentro di sé.

 

 

SOMMARIO

IL PRESENTE E’ GRAVIDO DEL PASSATO
Psicologica mente – 1999 Italia – Le buone tradizioni di una volta – Cento facce, una razza
IN PRINCIPIO ERA LA PSICOLOGIA
Economica mente – Chiedete, e vi sarà detto – Una breve storia cominciata da molto – Fisiologo, filosofo, teologo
POI E’ INTERVENUTO LO PSICOLOGO
Una specializzazione generica – L’Idra dalle cento teste – Scienza e tecnica – Tra dire e fare – Accademica mente
LAVORARE CON IL PENSIERO
Pratici e grammatici – In soccorso al vincitore – Professare una scienza – Vengano, signori, vengano! – Un mercato di compratori – Psicologi extra litteram
LA VIRTU’ STA NEL MEZZO
Fisiologia, patologia, diagnosi, terapia – Il mito della malattia mentale – Il mito della normalità
I RAGAZZI DEL CORO
Parlando, parlando – Fedeli alla linea – Un Olimpo pagano – La guerra dei network
PSICOTERAPIA?
Riparare la mente – Pari opportunità – Tutto è bene quel che finisce bene – Una psicologia centrata sullo psicologo
IL DESTINO DI UNA PROFESSIONE
Ricercare – Curarsi di – Una lunga marcia attraverso gli individui – Una lunga marcia attraverso le istituzioni
LA SAGGEZZA DI ARTU’
Dalla sofferenza alla competenza – Dal prodotto al mercato – Avanti compatti in ordine sparso
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

IL PRESENTE E’ GRAVIDO DEL PASSATO
(introduzione)

Sono trascorsi cento anni esatti (è il 1999) dalla pubblicazione della Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, testo che solitamente viene considerato come la pietra miliare, e per molti aspetti come l’inaugurazione ufficiale, della psicologia dinamica e della psicopatologia moderne, ovvero come il testo dove si pongono le basi per il nuovo concetto di psicoterapia, fino ad allora praticamente assente dalla letteratura scientifica.
Sono trascorsi centoventi anni esatti dalla fondazione del leggendario primo laboratorio di psicologia sperimentale, avvenuta a Lipsia per iniziativa di Wilhelm Wundt, evento solitamente considerato come l’inaugurazione simbolica, ovvero come il momento fondativo, della Nuova Psicologia, nel senso accademico e scientifico-sperimentale del termine.
In altre parole: il movimento psicologico moderno si è affermato nel mondo ormai da molto tempo. In questa sua storia ultrasecolare, ha costituito alcune tradizioni di lavoro cui gli psicologi attuali sembrano ispirarsi. In particolare: la convenzione psicologica contemporanea tende generalmente a suggerire che esistano due punti di riferimento principali, teorici e operativi, per la disciplina, definibili più o meno come: la scienza e la tecnica.
Da una parte si pensa soprattutto alla ricerca di base, o eventualmente ad altre forme di rilevazione empirica sistematica, specie alle indagini effettuate in laboratorio a scopi puramente conoscitivi e auspicabilmente disinteressati, finanziate dalla collettività in nome della scienza e della conoscenza.
Dall’altra parte si pensa soprattutto a un intervento di cura, attuato su soggetti in qualche modo malati, effettuato solitamente in studi di consultazione gestiti da terapeuti a scopo anche di sopravvivenza economica (dello psicologo), finanziato dal paziente o da una forma di assicurazione sanitaria (pubblica o privata), in nome della guarigione individuale.
Tutte le altre strategie dell’agire psicologico, applicative o di ricerca che siano, vengono spesso ricondotte a tali due paradigmi dominanti (sperimentale e clinico). Ovvero vengono convenzionalmente considerate relativamente secondarie rispetto alle prime due.
Una descrizione così concepita del movimento è relativamente semplicistica, ancorchè dominante tra le pieghe del lavoro psicologico. Ma soprattutto: è decisamente falsa. Il ventesimo secolo è stato anche, almeno in parte, il secolo della psicologia. Ma in un senso molto più ampio e diverso rispetto a quello che dicono al riguardo i testi accademici.
Diciamo dunque meglio, per essere più espliciti: la psicologia ufficiale ama autodefinirsi in termini irrealistici. Ne consegue dunque che forse è venuto il momento di girare pagina, e di sgomberare il campo da una serie di residuati storici che la disciplina si porta dietro come reliquie, e a cui non corrisponde ormai gran che (se mai gli è corrisposto).
Ritengo infatti che oggi, essendo il movimento psicologico giunto a un livello sufficientemente elevato di sviluppo, sia venuto il momento di abbandonare una definizione tanto limitativa della disciplina come quella che la riduce, almeno sul piano dell’immaginario collettivo (della gente comune ma anche di molti psicologi), a una serie di variazioni sul tema della psicoterapia individuale privata ovvero sul tema della sperimentazione in laboratorio.

Psicologica mente

Questo breve lavoro è dedicato ad una ricognizione sullo stato attuale della psicologia, intesa come disciplina scientifica e come attività professionale. Si tratta di un esame che vorrebbe essere relativamente libero e riferito a quanto effettivamente avviene nel movimento psicologico, piuttosto che a quello che se ne dice nella retorica soprattutto universitaria.
Il testo consiste dunque di alcune riflessioni, provvisorie e in ordine un po’ sparso, sul significato da attribuire a una serie di constatazioni, relative al movimento psicologico, che credo siano condivise da molti, ma dal cui sommarsi non sembra vengano tratte le dovute conseguenze. Questa analisi, un po’ a volo d’uccello, viene condotta tenendo conto sia della situazione attuale sia dei possibili sviluppi futuri della disciplina che potrebbero derivare da una sua rilettura. Sotto un certo profilo, si tratta di un discorso sullo stato dell’arte, ovvero di una lettera aperta ai colleghi psicologi (ovvero agli estimatori e ai fruitori-clienti della disciplina).
Un paio di precisazioni. In primo luogo: il quadro che cercherò di delineare ha come sfondo uno scenario internazionale, ma si riferisce soprattutto alla speciale condizione che caratterizza attualmente il movimento psicologico in Italia. In secondo luogo: ciò che si intende qui per psicologia è tutto ciò che ha a che fare con lo “psi”.
In altre parole: l’oggetto di questa descrizione è il movimento psicologico nel suo complesso, senza particolari limitazioni, e cioè tutto quell’insieme di teorie e di attività che a vario titolo si richiamano, esplicitamente o implicitamente, alla dimensione psicologica, ovvero al fattore umano e alla soggettività, indipendentemente dal modo in cui questa viene definita di volta in vota.
In pratica: viene presentata una ipotesi di definizione dello stato attuale del movimento psicologico (italiano) inteso nel senso più ampio (e, possibilmente, concreto) del termine, senza distinzione per i modi in cui le diverse sotto-categorie professionali hanno creduto di autodefinirsi al suo interno.
Il riferimento principale del libro è dunque la cosiddetta Nuova Psicologia. Questa tende a presentare come sue pietre miliari, lo abbiamo detto (e lo ripeteremo più volte), il laboratorio e il gabinetto di consultazione. Accade tuttavia, e il testo ne tiene ben conto, che inevitabilmente vengano annoverati nell’ambito del movimento psicologico complessivo, indifferentemente, anche molte altre tipologie di soggetti-psicologi, ben al di là di quanti dichiarano di occuparsi del laboratorio o della psicoterapia.
Possiamo indicare tra questi, ad esempio: i laureati in psicologia e gli psicologi iscritti all’albo (che non coincidono necessariamente con gli altri citati) ma anche gli psichiatri; gli psicoanalisti; gli psicologi-non-psicologi, cioè quanti fanno della psicologia almeno saltuariamente, anche se professionalmente non si definiscono tali (medici, assistenti sociali, formatori, educatori, giornalisti, conduttori di programmi televisivi, sacerdoti, ecc); nonchè, per certi aspetti, molti che solitamente non vengono considerati affatto psicologi (consiglieri vari della vita interiore, lettori di tarocchi, guaritori, ecc); per non parlare di studiosi del comportamento che fanno riferimento a competenze del tutto diverse (informatici che si occupano di lavoro a distanza, biologi interessati all’etologia umana, ingegneri dediti allo studio delle organizzazioni, ecc).
Ciò che accomuna tutti questi soggetti infatti, al di là dei loro titoli di studio, è il tipo di interesse scientifico e professionale che nutrono per il loro cliente, ovvero le attese che il pubblico vive nei loro confronti e le motivazioni che lo muovono a utilizzarne le competenze e i servizi.
Vedremo comunque meglio tale aspetto nel prosieguo del testo, ricordando che, in questa sede, si intende genericamente come psicologo, ovvero come attore del movimento psicologico, chiunque faccia (per così dire: oggettivamente) della psicologia, indipendentemente dal titolo formale di cui si fregia nel farlo.

1999 Italia

Per capire che cosa è la psicologia, oggi come oggi, è importante cogliere le grandi differenze che caratterizzano la disciplina nel mondo attuale, rispetto a come questa si proponeva (o veniva percepita) alla sua nascita o quando cominicava a muovere i suoi primi passi.
La condizione di allora è stata infatti praticamente dimenticata da molti psicologi (se mai l’hanno conosciuta). Tale confondersi delle proprie radici in una indeterminata nebbia delle origini ha creato in loro, e soprattutto nelle generazioni più recenti, la curiosa sensazione che la disciplina debba essere necessariamente così com’è (secondo i libri di psicologia), per ragioni naturali e autopoietiche, al di fuori della storia culturale e sociale che pure l’ha determinata. Quasi che il modo di essere della psicologia contemporanea sia l’unico ovvio modo di esistere per questa disciplina, e non una condizione affatto particolare, largamente condizionata da eventi e circostanze anche molto arbitrari e occasionali.
Un secolo fa gli psicologi professionisti nel mondo erano (forse) qualche diecina. Oggi sono certamente più di mezzo milione e probabilmente più di un milione.
Un secolo fa non esistevano praticamente clienti specifici per la psicologia (cioè persone disponibili a pagare, per sé o per la propria organizzazione, uno psicologo). Oggi le persone che hanno interagito con uno psicologo professionista nell’esercizio delle sue funzioni sono ormai almeno decine di milioni.
Un secolo fa il comparto economico della psicologia ufficiale nel mondo, per quanto sia possibile fare calcoli di questo genere (considerando stipendi, parcelle professionali, costi della formazione, editoria, ecc), poteva valere forse (con un certo ottimismo) qualche miliardo di lire attuali. Al giorno d’oggi sicuramente non vale meno di una ventina di miliardi di dollari nel mondo, e non meno di un 1.500 miliardi di lire (ovvero 700/800 milioni di euro) in Italia. Se si considera il movimento psicologico in un senso più allargato dei soli contesti della psicologia certificata, queste cifre si possono probabilmente raddoppiare.
Se restiamo al caso italiano, possiamo produrre una piccola comparazione tra la situazione della psicologia anche solo trenta anni fa (poco più di un quarto di secolo), all’alba degli anni ’70, e la situazione della psicologia oggi. Tale comparazione è piuttosto istruttiva.
Al dicembre del 1969, l’unica forma di organizzazione ufficiale del movimento psicologico è la SIPS o Società Italiana di Psicologia Scientifica, una associazione privata che conta poco più di trecento iscritti, di cui nessuno è laureato in psicologia (o almeno non laureato in Italia). I professori universitari di ruolo in psicologia, che insegnano necessariamente in facoltà e corsi di laurea non di psicologia, sono passati, dai dieci circa che erano a metà degli anni ’50, a qualche decina in tutto.
Le persone che traggono in modo esclusivo o preminente la propria fonte di reddito da attività che vengono definite approssimativamente come psicologiche sono forse nell’ordine di poche centinaia, a ragionare con molto (ma molto) ottimismo.
La maggioranza dei pochi che “fanno della psicologia” in Italia alla fine degli anni ’60 è in effetti definibile piuttosto come medico, insegnante, funzionario d’azienda, consulente o quant’altro. Questi ritiene di utilizzare strumenti psicologici nella propria attività, ma difficilmente potrebbe essere definito come psicologo professionista a tempo pieno. Si tratta piuttosto di operatori vari, con una certa cultura psicologica (per lo più raggiunta attraverso percorsi di formazione autogestiti), che dedicano una parte del proprio impegno a pensare ed agire psicologicamente.
Oggi, nel 1999, più o meno (in un contesto di costante evoluzione), esistono ufficialmente in Italia sedici corsi di laurea in psicologia, presenti complessivamente in 9 regioni, di cui sei in autonome facoltà di psicologia. Gli studenti di psicologia sono nell’ordine dei 40.000. I laureati in psicologia sono, fino a oggi, più di 30.000. Attualmente si laureano almeno 2.000/3.000 dottori in psicologia all’anno.
I professori universitari di ruolo nella disciplina, tra ordinari e associati, sono intorno ai 500. A questi si aggiunge un numero forse analogo, e probabilmente assai superiore, di docenti universitari di fatto, tra ricercatori e professori a contratto, per non parlare di cultori della materia e collaboratori a vario titolo.
Sono attivati non meno di 15 dottorati di ricerca, che preparano non meno di 50 dottori di ricerca l’anno. Ci sono circa duecento scuole di specializzazione post-universitarie in psicoterapia (stando solo alle richieste di riconoscimento presentate al Ministero competente), e almeno altrettante sedi organizzate di corsi e seminari psicologici, per lo più (ma non solo) private e per lo più (ma non solo) dedicate ai temi della psicologia clinica. Gli psicologi che completano una formazione ufficiale (privata) nel campo della psicoterapia sono nell’ordine di alcune centinaia ogni anno.
Le associazioni di psicologi, ispirate alle più varie forme di teorie e di pratiche, con le loro sedi e le loro riviste, quasi non si contano. E’ attivo un Ordine professionale, costituito in seguito alla legge sulla professione di psicologo promulgata nel 1989, che conta più o meno 30.000 iscritti, di cui circa tre quarti sono laureati in psicologia.
In poche parole: in un quarto di secolo la situazione è cambiata totalmente. Ancora negli anni ’60 la psicologia, almeno in Italia, era soprattutto una forma di scelta intellettuale. Alla fine degli anni ’90 è soprattutto una professione, con una dimensione accademica, una dimensione professionale ufficiale e una dimensione professionale di fatto. La psicologia, da circoscritta scelta intellettuale che era, è diventata una professione, ovvero un mestiere, diffuso in tutta la realtà sociale e culturale del nostro Paese.

Le buone tradizioni di una volta

Quelli appena delineati sono profili numerici che tratteggiano il quadro della psicologia al lavoro, ma il dato più significativo riguarda il fatto che i punti di riferimento del movimento psicologico sono molto cambiati. E questo anche se, almeno in termini scientifico-culturali dichiarati, si agisce spesso come se fossero rimasti per molti aspetti gli stessi di un secolo fa.
In Università e all’Ordine si continua infatti a parlare di psicologia sperimentale e di psicoanalisi, di nevrotici e di condizionamento, pur con tutte le variazioni del caso. Nel frattempo, la stragrande maggioranza degli psicologi, compresi ovviamente gli universitari e gli iscritti all’Ordine professionale, si dedica a tutt’altro, utilizzando strumenti teorici, tecnici e di esperienza che derivano dalle fonti più disparate, molto al di là di quello che sta scritto nei manuali tradizionali della disciplina.
All’università (almeno in Italia) si continuano a insegnare Pavlov e Freud, o eventualmente Melanie Klein. All’Ordine si continua a parlare del paziente che si presenta in studio e della possibilità di esercitare la psicoterapia negli ospedali.
Nel contempo, tanto per esemplificare, migliaia di psicologi (o simili) lavorano nei servizi alle tossicodipendenze (dove non esistono proprio pazienti che si presentano in studio). Altre migliaia lavorano nel marketing, nella comunicazione e nella formazione (dove non esistono proprio cani da condizionare).
Migliaia e migliaia di psicologi si occupano delle situazioni più disparate, dalla riabilitazione ai problemi ambientali, dai tribunali allo sport, dalla scuola alle telecomunicazioni, senza che la loro attività rifletta in alcun modo, se non (a forzare proprio le cose) molto pallidamente e soprattutto indirettamente, la luce dei laboratori sperimentali e del paziente sul lettino in penombra. Cionondimeno, molti psicologi continuano, nelle loro dichiarazioni e nelle loro prese di posizione ufficiali, a fare finta che, alla base del proprio operare, stiano la ricerca sulla percezione visiva e il parlare a ruota libera dei sogni.
Il post-moderno, si dice, ha scalzato la modernità, con le sue idee di scienza, di oggettività, di individualità. Gli psicologi tuttavia amano (lasciar) credere che il proprio atteggiamento verso il mondo continui eternamente ad essere una via di mezzo fra l’attitudine di un fisico-chimico in laboratorio e quella di un medico in ambulatorio. Avendo peraltro una idea molto ottocentesca di entrambe queste professioni scientifiche.
E’ difficile dire che cosa possa significare la condizione di superamento della modernità di cui tanto si parla, visto che i pareri al riguardo appaiono assai discordi. In psicologia risulta però molto chiaro che gli antichi abiti tradizionali dello psicologo stanno molto stretti alla maggioranza di quanti operano nel settore attualmente.
L’evoluzione della disciplina, e della relativa professione, è avvenuta infatti in modo piuttosto caotico, con notevoli difformità nelle varie situazioni e sulla base, oltre che di un notevole sviluppo scientifico, anche di grandi fraintendimenti, presunzioni, stereotipi, fantasie e contraddizioni. Di fatto: la psicologia si regge, almeno in parte, su di una convenzione non dichiarata la cui forza non sta nella sua realtà, bensì nel riferimento che tutti vi fanno. Il livello di coscienza rispetto a tale rivoluzione, e a tale forma di finzione, è assai vario, ma esiste in modo evidente (come ben testimoniano molti dei testi citati in bibliografia, così come altri). Cercherò dunque di chiarirne qualche aspetto in questa sede.

Cento facce, una razza

Sta di fatto che la psicologia si regge attualmente su di una serie di equivoci. Uno tra questi riguarda la presunta esistenza di una convenzione di riferimento generale la quale permette a persone assai diverse, che si occupano di realtà molto diverse con strumenti diversissimi, di riconoscersi sotto un’unica definizione.
Non è affatto chiaro, se si mantengono come proprie insegne il laboratorio e il lettino, che cosa ci sia in comune tra un professionista che si occupa di avviamento al lavoro di tossicodipententi, un altro che cerca di mediare tra ex-coniugi in lite, un altro che studia il canale distributivo più efficace per la vendita di bibite gassate, un altro che firma un progetto urbanistico, un altro che cerca di allenare mentalmente giocatori di pallacanestro, un altro che esercita dirigenti industriali alla leadership, un altro che organizza corsi di avviamento al parto, e altri mille che inventano altri mille modi per accompagnare le persone nella gestione della loro soggettività.
La psicologia rappresenta in effetti un movimento sostanzialmente unitario, in cui quasi tutti gli psicologi (e anche molti dei non-psicologi) si riconoscono. O almeno: è un movimento altrettanto unitario quale può essere quello di un fiume che scorre entro uno stesso alveo e nella stessa direzione, indipendentemente dalle mille correnti che lo agitano e dalla diversità, di origine e di composizione, delle acque, dei pesci, delle piante e dei detriti che lo costituiscono ovvero di quelli che ci pescano, ci navigano o ci nuotano dentro.
Gli psicologi hanno effettivamente in comune molte cose, siamo tutti d’accordo. Ma non riusciremo a capire che cosa esattamente siano queste cose che hanno in comune se non usciamo dalla fantasia del piccolo chimico e del medico della mente.
E, non sapendo bene quale sia la matrice comune di ciò che la psicologia effettivamente è (non di ciò che dicono i professori di psicologia nei loro libri), non saremo nemmeno in grado di formare efficacemente gli psicologi al loro mestiere. Se non definiamo con maggiore chiarezza quale è effettivamente il progetto psicologico contemporaneo, sarà ben difficile che riusciamo a perseguirlo sul serio.
In ogni caso, anche se è vero che in qualche modo tale progetto comunque avanza, è anche vero che avanza comunque tra grandi dubbi e difficoltà. Esso infatti non riesce a dichiararsi completamente e alla luce del sole, soprattutto per il senso di difformità che suggerisce rispetto al paradigma simbolico-fantastico del medico sperimentalista che continua a informare di sé gran parte della psicologia in qualche modo ufficiale.

 

Molti approfondimenti sul tema in: Perussia, F. (2015). Storia della Psicologia: Manuale di scienze della mente. Milano: Psicotecnica Amazon.