Sulla natura sostanziale della (astro)fisica psicologica

 

Anna CURIR – I processi psicologici della scoperta scientifica: L’armoniosa complessità del mondo.

 

NOTE INTRODUTTIVE di Felice Perussia

Sulla natura sostanziale della (astro)fisica psicologica.

Ci sono molti modi possibili per sviluppare la questione del collegamento fra mente e natura; dato che il mondo interiore si è affermato come un tema centrale della psicologia, mentre il mondo esteriore si è affermato come un tema centrale della fisica. E Anna Curir ce ne offre, attraverso i suoi stimolanti contributi, un’ampia e brillante elaborazione.
Voglio dunque cogliere l’occasione, nel sottolineare l’interesse che questo volume presenta, per ricordare alcuni aspetti, forse meno evidenti ai più, di quanto e di come la definizione psicologica della mente e la definizione scientifica dell’universo possano legarsi reciprocamente con fili sottili. Evoco dunque qui, a modesto contorno del lavoro di Curir, alcuni rilevanti episodi storici e intellettuali, che sono ben noti all’Autrice (così come agli studiosi di storia della scienza e della psicologia; o come almeno noi speriamo), ma che forse non sono così evidenti per tutti i suoi lettori. E si tratta di circostanze che possono aiutare a capire quel gioco dialettico, tra modi di immaginare intellettualmente, che fa da motivo conduttore al testo.
Il fulcro di tutta la storia, che ci aiuta a fare emergere la notevole continuità tra microcosmo psicologico e macrocosmo fisico (o viceversa), sta nel fatto che Anna Curir è un’astronoma, o un’astrofisica, tanto quanto è una psicologa. Ci troviamo dunque ad ascoltare, nel contempo: una scienziata dell’universo oggettivo esteriore assieme ad un’osservatrice dell’universo soggettivo interiore.
Qualcuno si starà forse chiedendo: ma che nesso potrà mai esserci fra l’astronomia e la psicologia? E magari qualcun’altro si immaginerà, forse anche con ironia o con scetticismo, che non ve ne siano affatto. Ma ci tocca smentire tutti questi (pochi) sprovvedduti. La risposta corretta, alla domanda di cui sopra, è infatti che (neanche a farlo apposta): tra l’astronomia e la psicologia, i legami sono decisamente stretti e fondativi. E qui, come dicevo, ne ricordo brevemente alcuni dei principali, così da poterci fare conto.
Tanto per cominciare, e soprattutto: viene generalmente quanto autorevolmente sostenuto, da rilevanti studiosi di STORIA della PSICOLOGIA, che la nascita stessa della dimensione sperimentale oggettiva nell’ambito della Nuova Psicologia Scientifica tardo-ottocentesca, ovverosia della dimensione soggettiva nella scienza (e, almeno in parte, della relativa filosofia che ne consegue), va fatta risalire proprio all’interazione tra alcuni astronomi (Sanford, 1888-1889; Boring, 1929; Mollon e Perkins, 1996).
Uno dei padri di tale rivoluzione intellettuale è il suo inconsapevole attivatore. Si tratta del ventiquattrenne assistente David Kinnebrook [1772-1802], che fa scattare tutto il processo (in veste di capro sacrificale), nella circostanza in cui viene messo sotto osservazione, nell’osservatorio di Greenwich dove lavora, per il fatto di riportare i tempi di passaggio delle stelle, nell’oculare del suo telescopio Bird, tutti sfalsati di circa 800 millisecondi rispetto ai tempi riportati invece dal primo astronomo reale dell’Osservatorio stesso, e cioè dal molto onorevole Nevil Maskelyne [1732-1811]. Viene dunque applicata al nostro pioniere una tipica regola del fair-play britannico, secondo cui: se c’è qualcuno che sbaglia, questi non può essere il capo. Quindi, nel 1796, Kinnebrook viene buttato fuori da Greenwich per eccesso di soggettività nella valutazione, rispetto alla sicura oggettività del direttore, fenomeno inammissibile in campo scientifico.
A questo punto (in effetti: poco dopo) interviene un secondo astronomo, il prussiano Friedrich Wilhelm Bessel [1784-1846], che a Konigsberg si mette a misurare, intorno agli anni ’20 dell’Ottocento, la differenza sistematica che corre tra le proprie misurazioni astronomiche e quelle di altri colleghi. Così facendo, l’autocritico e autocosciente Bessel può constatare, e dimostrare, che ciascun astronomo (ciascuno scienziato) tende a introdurre, nelle sue valutazioni oggettive, una variazione soggettiva sistematica rispetto agli altri. Nasce così, grazie alla lucidità di Bessel e al sacrificio di Kinnebrook, il concetto fondamentale dell’equazione personale (che James chiamerà psychologist’s fallacy).
In base a tale costrutto: tutte le osservazioni e tutte le misure prodotte da un singolo osservatore derivano almeno in parte da una distorsione sistematica rispetto alla realtà, che è idiosincratica per quello specifico autore-osservatore e che cambia da un autore-osservatore all’altro. Tale constatazione, come accennavo sopra e come sempre mi piace sottolineare, è pienamente fondativa tanto per la psicologia quanto per la scienza, nella modernità, così come per la scienza come psicologia e per la psicologia come scienza. La legge dell’equazione personale permette infatti di dimostrare scientificamente che esiste sempre una distorsione oggettiva per la soggettività dell’osservatore scientifico. Così come permette di dimostrare scientificamente che esiste sempre una distorsione soggettiva per l’oggettività della scienza osservante. Il che rappresenta pur sempre un dato centrale: tanto per il movimento psicologico quanto per il movimento scientifico.
Un altro autore nobile che ci offre testimonianze illuminanti sulla continuità fra psicologia e (astro)fisica è di nuovo un Britannico: Sir William Crookes [1832-1919]. Crookes, come si sa, è stato tra l’altro un grande studioso dei raggi catodici (e inventore del Crookes Tube), così come della radioattività e della spettroscopia. Di quest’ultima, Sir William ci ha fornito anche una versione piuttosto inconsueta ma molto psicologica, o quanto meno psichica. In particolare quando pubblica, nel 1874, un testo relativo ai dialoghi che si trova a sviluppare, grazie al counseling fornitogli da Florence Cook, con lo spirito disincarnato del figlio Phillip, recentemente scomparso.
E’ emblematico il fatto che negli anni ’70 molti suoi colleghi della Royal Society cerchino di coalizzarsi per espellerlo da quella nobile società scientifica, di cui Crookes è membro dal 1863, in quanto considerano oltraggiosi, per la dignità della loro scienza, i suoi studi psicodinamici con i trapassati; senza tuttavia riuscire nel loro intento (visto che il Nostro riceve anzi, proprio nel 1875, la Royal Gold Medal per meriti scientifici). Del resto: non è chiaro se tali ricerche abbiano contribuito o meno a fare assegnare a Crookes il premio Nobel per la Fisica nel 1901. Ma è certo che analoghi colleghi furono piuttosto orgogliosi di nominare, qualche tempo dopo, sempre lo stesso Crookes presidente di quella stessa (in un primo tempo forse oltraggiata) Royal Society, dal 1913 al 1915; e sempre per i suoi rinomati meriti scientifici, naturalmente.
Il nesso tra il fisico Crookes (che studia la spettrografia anche per cercare di conoscere meglio la fisica delle stelle) e la psicologia come scienza dello spirito è evidente, ma complesso. Mentre lo stretto legame tra psicologia e ricerca psichica nel determinare il successo della psicologia come scienza, nell’ultima parte dell’Ottocento, è troppo vasto ed intricato per poter essere sviluppato adeguatamente in questa sede, per cui mi limito a ricordarlo.
Sta di fatto che è proprio a motivo dei suoi studi (sullo spiritualismo psichico) che il fisico Crookes si guadagna l’aperta stima di William James [1842-1910], indiscusso padre nobile della psicologia scientifica statunitense, con cui condivide tra l’altro l’attiva e convinta partecipazione alla Society for Psychical Research. La quale non è altro che il più importante Istituto scientifico internazionale dedito allo studio dei poteri extra-sensoriali (che starebbero ai confini tra la fisica, la fisiologia e la psicologia). Di tale istituto sono stati paladini assai attivi, tra gli altri, molti dei grandi nomi della scienza psicologica originaria, da Charles Richet a William Butler Yeats, da Carl Gustav Jung a Henri Bergson fino a Sigismund Freud, autore tra l’altro di una fortunata Oniromanzia [Traumdeutung]. La continuità fra i due scienziati è messa assai bene in luce dal fatto che James ha diretto la Society for Psychical Research dal 1894 al 1895, quando consegna la presidenza nelle mani dello stesso Crookes, che la regge dal 1896 al 1899 per poi passare direttamente a ritirare il Nobel.
A dispetto di tutte queste evidenze, ci sarà forse ancora qualcuno che continua pervicacemente a credere (benché sulla base di un pregiudizio sempre più vacillante, alla luce dei fatti qui ricordati) che la psicologia si presenti come distante dall’astronomia fisica; e viceversa. Il mondo iperuranio e il mondo interiore potrebbero sembrare, si suoi occhi ingenui, ancora incommensurabili. Eppure è proprio nell’astrofisica che il nesso tra psicologia e scienze naturali trova il suo legame più radicale e solido. Ma per questo occorre tornare all’origine vera e propria, cioè al grande padre nobile e assoluto dell’astrofisica stessa. E stiamo parlando naturalmente di lui: di Sir Isaac Newton [1642-1727]. E con questa testimonianza possiamo ritenere di avere chiuso la questione.
Come infatti vado ricordando da tempo (e mi scuso per il reiterato riferimento personale a: Perussia, 2002, 2011) è proprio il grande Newton che ha fondato, allo stesso titolo, tanto l’astrofisica quanto la psicodinamica; o quanto meno: l’accezione più moderna di entrambe. Infatti: tanto la fisica naturalistica quanto la psicologia dinamica gli devono, da un certo punto di vista, veramente molto.
Una delle dimostrazioni più importanti, che fanno la gloria di Newton, è consistita nel rendere evidente l’inconsistenza dell’astrofisica di Galileo Galilei [1564-1642], il quale, come è noto, si faceva vanto di avere dedicato tutto il suo testo più importante, dal titolo originale di Dialogo delle maree (1632), a dimostrare scientificamente la tesi che dette maree non sono affatto prodotte dall’azione a distanza della luna (idea che Galileo, e tutto il movimento scientifico con lui, considera penosamente magica e superstiziosa) bensì dal movimento meccanico della terra che muove i mari “come l’acqua in un catino”.
Newton costruisce la nostra scienza fisica sulla legge della gravitazione universale, basata appunto sul principio magico, che Newton descrive come algebrico (Principia mathematica, appunto, 1687), dell’azione a distanza. In virtù di tale misteriosa influenza: i pianeti, così come tutti i corpi in movimento o animati o animali (e dotati di massa; cioè: di corpo) si attraggono e si respingono, senza che vi sia tra loro alcun passaggio materiale di energia, ma solo sulla base delle loro reciproche fascinazioni, composte di forze amorevoli che avvicinano e di forze aggressive che allontanano. Più in particolare, secondo la dimostrazione di Newton (che sta giustamente alla base di tutta la fisica moderna): le maree sono prodotte appunto dall’azione a distanza (senza contatto) della massa lunare sulla massa delle acque marine.
I Principia di Newton, come è noto, sono un libro di magia planetaria in lingua matematica, dove non è prevista nessuna azione o relazione fisica materiale diretta tra i corpi stellari, ma solo delle istanze simpatetiche e antipatetiche o telepatiche, attrattive e repulsive. Per cui a Newton, tra l’altro, è sempre stato rinfacciato, soprattutto da quelli che l’hanno seguito (fisici, astrofisici e professori), di essere un mago, titolo di cui Newton stesso era notoriamente assai orgoglioso (White, 1999). Mentre (sarà utile ricordarlo) è proprio sulla base dei principi newtoniani, dell’azione a distanza, che gli umani anche contemporanei hanno realizzato grandi risultati fisici concreti, sul tipo del prevedere le eclissi e i movimenti delle comete o dell’andare finalmente sulla tanto discussa luna (delle maree) con una navicella spaziale (e poi tornare indietro).
Basandosi su tale scienza newtoniana della fascinazione-gravitazione, il naturalista proto-illuminista Richard Mead [1673-1754], grande amico oltre che medico personale di Newton e membro della Royal Society, si dedica a sviluppare le leggi newtoniane dell’amore universale, applicandole però al caso di noi esseri umani. Pubblica dunque il suo De imperio solis ac lunae in corpora humana (1704), in cui descrive la gravitazione tra i corpi di noi persone (e dei fluidi, anche psichici, al nostro interno) facendola coincidere con una forma sub-lunare di seduzione planetaria, che il suo illustre paziente e amico aveva descritto in forma matematica per la macrofisica. Secondo Mead: tra le persone si esercitano cioè delle attrazioni analoghe a quelle che intervengono nella interazione dialettica fra stelle e pianeti.
A sua volta, Franz Anton Mesmer [1734-1815] scrive e pubblica la propria tesi di laurea in medicina (1766), discussa all’Università di Vienna, realizzando un plagio pressoché letterale del testo di Mead, che peraltro non cita (Pattie, 1956). Successivamente, Mesmer trasforma l’ormai classico concetto newtoniano di gravitazione universale, riferita al mondo animale sub-lunare, nel ben più scientifico e dinamico concetto di magnetismo animale. Magnetismo: in quanto elemento fisico fluido, costrutto materiale e concreto che l’illuminista Mesmer considera più oggettivo del provvidenziale intervento divino su cui invece Mead (e Newton con lui) ancora si basano. Animale: in quanto si tratta di una qualità propria ai corpi animati, ovverosia di un fluido animatore dei corpi stessi.
Nel frattempo, il medico ostetrico bolognese Luigi Galvani [1737-1798] conduce studi sulla capacità del fluido magnetico di rianimare il corpo morto (ad esempio: di un ranocchio). Nel suo testo più rinomato (1791) sceglie dunque di chiamare questo fluido “vis electrica”, ma in altri scritti lo definisce più volentieri magnetismo. Dove merita notare che: agli occhi di Galvani, così come a quelli dei suoi contemporanei (e di molti fra noi), questo fluido magnetico (o elettricità) in grado di dare vita e movimento, cioè anima, alle cose (e quindi: animale) è un dinamismo spontaneamente presente in natura. E infatti viene ritrovato, come fatto oggettivo, anche nel sistema nervoso.
Nel modello di Mead-Mesmer, la malattia (magnetica) è un ingorgo della forza-energia [DYNAMIS] psichica, che non trova il modo di scorrere adeguatamente nel corpo della persona. L’intervento terapeutico di Mesmer è dunque pienamente psico-dinamico, nel suo sforzo di utilizzare un’attivazione energetica aggiuntiva per aiutare lo stato fisiologico della persona a ritrovare il suo originario equilibrio, superando la tempesta delle maree magnetiche che si era trovato inopinatamente a subire, nei termini della fisica elettrica di una forza nervosa.
E qui mi fermo, sottolineando (come provvisoria conclusione) che il magnetismo psichico animale, con la fine dell’Ottocento e con l’affermarsi del positivismo industriale, si trasforma definitivamente in elettricità. La rivoluzione della scienza naturalistica finalmente trionfa. Non siamo più in presenza di un oscuro fluido magnetico, bensì di un chiaro fluido elettrico. E’ grazie al magnetismo elettrico che il professor Frankenstein dà vita alla Cosa, nel 1818; mentre, con il ventesimo secolo, si elettrifica definitivamente, assieme alle ferrovie, pure il sistema nervoso, così come la psiche con la sua energia libidica a base sessuale, secondo la definizione di Moll (1898).
Mentre la psicologia degli psicofisiocratici, analogamente alle attrazioni fra i pianeti di Newton, si può ormai misurare con esattezza nelle scariche dei fluidi cerebrali; e la si può persino fotografare, ma non più in quei falsi quanto ridicoli dagherrotipi ottocenteschi a base di ectoplasmi lattiginosi (come, di nuovo, accadeva con James e con i suoi molti colleghi) bensì in un autentico ed algido fluidogramma o spettrogramma encefalico, basato sulla registrazione di scariche elettriche nel cervello. Mentre la psicologia dinamica si afferma sempre più come una metafora oggettivista. O almeno così alcuni credono, scientificamente parlando (e noi non li vogliamo deludere, ma anzi confortare).
Quindi, se vogliamo davvero tenere conto della grande storia della scienza, ma più ancora della realtà scientifica contemporanea in astrofisica e in psicologia, possiamo bene renderci conto, anche solo sulla base evocativa di queste brevi note (peraltro: piuttosto documentate), che le due discipline hanno davvero molto in comune. Del resto, e parlo anche a nome di quelli che sono (anche) psicologi come me, avendo sempre il dubbio se considerarci delle specie di scienziati (lato sperimentalistico mesmeriano) o invece delle specie di maghi (lato psicotecnico newtoniano), penso con affetto a Sir Isaac e a tutti gli altri (para)mentalisti come noi, per cui mi sento confortato anch’io, specie per la presenza di una così ottima compagnia.
Infine: con questo non voglio dire che il bel lavoro di Anna Curir sia di stretta osservanza newtoniana, né galileiana, né meadiana, né besseliana, né messmeriana, né crookesiana, né jamesiana, né molliana. E tuttavia: con tutti questi (e altri) personaggi, e con tutte queste controverse tradizioni, questo libro ha certamente a che fare. Per cui voglio di nuovo dichiarare tutto il plauso che merita l’opportunità, che l’Autrice ci offre in un piatto d’argento, di fare un passo avanti su di una simile meravigliosa strada per la conoscenza.

 

Riferimenti bibliografici

Boring, E.G. (1929). A history of experimental psychology. New York: Appleton Century Crofts.
Crookes, W. (1874). Researches in the phenomena of spiritualism. London: Burns.
Galilei, G. (1632). Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Firenze: Landini.
Galvani, L.(1791). De viribus electricitatis in motu musculari commentarius. Bologna: Typographia Instituti Scientiarum
Mead, R. (1704). De imperio solis ac lunae in corpora humana: Et morbis inde oriundis. London: Brindley.
Mesmer, F.A. (1766). De planetarum influxu in corpus humanum. Wien.
Moll, A. (1898). Untersuchungen uber die Libido sexualis. Berlin: Kornfeld.
Mollon, J.D., Perkins, A.J. (1996). Errors of judgement at Greenwich in 1796. Nature, 380, 101-102.
Newton, I. (1687). Philosophiae naturalis principia mathematica. London: Streater.
Pattie, F.A. (1956). Mesmer’s medical dissertation and its debt to Mead’s De Imperio Solis ac Lunae. Journal of the History of Medicine and Allied Sciences, 11, 275-287.
Perussia, F. (2002). Theatrum psychotechnicum: L’espressione poetica della persona. Torino: Bollati Boringhieri.
Perussia, F. (2011). Memoria sulla scoperta della psicotecnica. Milano: Psicotecnica Amazon.
Sanford, E.C. (1888-1889). Personal equation. American Journal of Psychology, 2(2), 3-38, 271-298, 403-430.
White, M. (1999). Isaac Newton: The last sorcerer. New York: Basic Books.