Perussia F. (1992). I rifiuti: L’immagine. In: Schmidt di Friedberg P., Calvi Parisetti G., Perussia F., Il problema dei rifiuti: Schema concettuale e linee operative. Milano: Guerini, pp. 22-42.
MODALITA’ DI RILEVAZIONE
La parte del lavoro d’indagine relativa alla identificazione ed alla gestione degli impatti sociali è consistita di una rilevazione sul campo attuata con una metodologia di tipo clinico sociale.
Tale strategia di ricerca consiste nella effettuazione di interviste cliniche in profondità, della durata di circa un’ora ciascuna, dove viene permesso al soggetto intervistato di esprimersi con la massima libertà, pur nell’ambito di una circoscritta serie di argomenti. Il metodo clinico sociale ha già dato buona prova di sè, tra l’altro, anche in precedenti indagini su temi ambientali condotte in Italia dagli scriventi.
Sono stati contattati complessivamente 72 soggetti, suddivisi in 3 sub-campioni analoghi (50% maschi e 50% femmine; 50% al di sotto dei 35 anni di età e 50% al di sopra; 50% con livello di istruzione fino alla scuola dell’obbligo, 50% con istruzione superiore) così ripartiti:
A) 24 soggetti intervistati in una località dove è stata realizzata ed è in funzione una discarica, ma con seguito di polemiche e con significative tensioni sociali ancora oggi in pieno svolgimento.
Tale località è stata identificata nel comune di GERENZANO, che rappresenta per molti aspetti il simbolo della recente controversia sulle discariche. Nella zona si è del resto sviluppato un complesso rapporto di scontro, e qualche volta di incontro, fra i più tipici attori di simili questioni, e particolarmente fra il pubblico e gli amministratori.
B) 24 soggetti intervistati in un’area urbana intermedia dove sono stati recentemente realizzati significativi impianti di trattamento dei rifiuti, ma senza dare luogo a contrasti davvero pesanti.
Tale località è stata identificata nel comune di VICENZA, dove il problema degli scarti sembra essere stato affrontato in modo relativamente più morbido che altrove.
C) 24 soggetti intervistati in una grande area urbana dove non si sono manifestati dei veri e propri scontri sul tema dei rifiuti e delle discariche, anche se la questione è verosimilmente presente nella sensibilità del pubblico per ragioni genericamente ecologiche.
Tale località è stata identificata nella città di MILANO, che può rappresentare anche un punto di riferimento generale, in quanto laboratorio per molti fermenti sociali e di atteggiamento che si riverberano poi su tutto il paese.
Le dimensioni complessive del campione intervistato si collocano ai livelli più ampi tra quelli normalmente in uso nella ricerca clinico sociale in Italia.
Si è scelto infatti di contattare un numero di soggetti relativamente elevato, data la delicatezza del tema e la volontà di raccogliere informazioni con significativo livello di attendibilità.
Le interviste sono state condotte da complessivamente 6 psicologi, specializzati in questo tipo di indagine. Gli intervistatori sono state istruiti alla specifica indagine nell’ambito di una riunione preliminare di approfondimento.
I colloqui sono stati eseguiti, presso la residenza di ciascun intervistato, nel mese di marzo del 1990.
Tutte le interviste sono state registrate su nastro magnetico, e successivamente trascritte e sintetizzate. Su di esse è stata condotta un’analisi del contenuto.
A conclusione della rilevazione sul campo si è tenuta una riunione finale di commento e di analisi, cui hanno partecipato tutti gli psicologi coinvolti, sotto la supervisione del direttore dell’indagine. Tale incontro, della durata di un giorno, ha permesso di evidenziare anche alcune linee interpretative più profonde.
Nell’ambito delle interviste sono stati affrontati vari temi, con particolare riferimento allo specifico impianto presente, attualmente o potenzialmente, nella zona.
Lo schema di riferimento per la effettuazione delle interviste è stato il seguente:
1) Il problema dei rifiuti: è molto sentito? in cosa consiste? quali sono i punti focali della questione? in che modo si riflette sulla vita quotidiana delle persone? Perchè?
2) Conoscenza del problema dello smaltimento dei rifiuti: ne ha mai sentito parlare? da chi? in che circostanze?
3) Definizione dell’impianto di smaltimento più vicino conosciuto (quello che serve la propria zona): che cos’è, esattamente? come lo descriverebbe, ad uno che non l’ha mai visto o non ne ha mai sentito parlare? In che cosa è diverso dagli altri impianti per lo smaltimento dei rifiuti? Perchè?
4) Pregi: a che cosa servono gli impianti per la gestione dei rifiuti? chi ne trae vantaggio? Perchè?
5) Difetti: quali problemi comportano questi impianti? chi ne subisce maggiormente gli effetti negativi? Perchè?
6) L’impianto di gestione ideale: come deve essere concepito? dove deve essere collocato? quali pregi ne vanno esaltati? quali difetti ne vanno evitati? Perchè?
7) Le garanzie: quali controlli si richiedono affinchè l’impianto venga accettato? chi potrebbe fornire queste rassicurazioni? di chi invece ci si fida di meno? Perchè?
8) Sostenitori e detrattori: chi sono quelli più favorevoli agli impianti di smaltimento? che li accettano più facilmente? a chi piacciono? perchè? chi vi si oppone con maggiore decisione? chi non li accetta assolutamente? a chi danno più fastidio? perchè?
9) L’impianto di smaltimento e l’ambiente: esiste un legame fra l’impianto ed i temi ecologici? quale?
10) La gestione dei rifiuti: che alternative ci sono al sistema utilizzato attualmente nella zona? quali sono i pregi ed i difetti di ciascuna? sono alternative realistiche? Perchè?
11) Accettabilità personale: l’intervistato, lui personalmente, è favorevole o contrario all’impianto? perchè?
12) Differenze tra i diversi tipi di rifiuto: che cosa sono i rifiuti solidi urbani, e assimilati? che problemi particolari presentano? che vantaggi presentano, rispetto agli altri rifiuti, dal punto di vista della gestione? e quali ne sono i difetti principali? Perchè?
13) Differenze tra i diversi tipi di rifiuto: che cosa sono i rifiuti tossico nocivi? che problemi particolari presentano? che vantaggi presentano, rispetto agli altri rifiuti, dal punto di vista della gestione? e quali ne sono i difetti principali? Perchè?
14) Differenze tra i diversi tipi di rifiuto: che cosa sono i rifiuti sanitari? che problemi particolari presentano? che vantaggi presentano, rispetto agli altri rifiuti, dal punto di vista della gestione? e quali ne sono i difetti principali? Perchè?
15) Differenze tra i diversi sistemi di smaltimento: che cosa sono le discariche? che vantaggi presentano rispetto agli altri sistemi di gestione dei rifiuti? e quali ne sono i difetti principali? Perchè?
16) Differenze tra i diversi sistemi di smaltimento: che cosa sono gli inceneritori? che vantaggi presentano rispetto agli altri sistemi di gestione dei rifiuti? e quali ne sono i difetti principali? Perchè?
17) Differenze tra i diversi sistemi di smaltimento: che cosa sono le piattaforme per la neutralizzazione dei rifuti tossici? che vantaggi presentano rispetto agli altri sistemi di gestione dei rifiuti? e quali ne sono i difetti principali? Perchè?
18) Quale è l’impianto preferito, tra discarica, inceneritore e piattaforma? perchè?
19) I materiali speciali: che cosa si fa attualmente per il problema delle pile, della plastica, ecc? sono dei problemi particolari? come mai? e che cosa sarebbe meglio fare? Perchè?
20) Nel complesso: che tipo di emergenze e di rischi prevede si presenteranno in tema di rifiuti, e di impianti, nel prossimo futuro? Perchè?
21) La gestione: la gestione del problema dei rifiuti, e in particolare degli impianti, attualmente è affidabile? a chi deve essere affidata? c’è fiducia nei controlli? e quali controlli dovrebbero esserci? Perchè?
22) In conclusione: sintetizzi in due parole ciò in cui consiste il problema dei rifiuti, ed il modo più auspicabile, e verosimile, per risolverlo.
1. IL PROBLEMA DEI RIFIUTI
Il tema dei rifiuti risulta abbastanza sentito dal campione intervistato, che generalmente ha un’idea della sua esistenza ed in qualche modo se ne preoccupa.
Non si tratta però di una questione davvero presente nella quotidianità degli intervistati. E’ un tema come un altro, fra i molti che caratterizzano la vita del nostro tempo, ma senza che gli si attribuisca un’importanza speciale.
Solo il campione di Gerenzano appare veramente sensibile alla questione.
Una parte degli intervistati, pur recuperando il tema una volta che questo viene proposto dall’intervistatore, non sembra averci mai veramente pensato prima in modo minimamente sistematico.
Il problema appare rilevante solo a posteriori. Si direbbe che vi sia una tendenza a dimenticare tale preoccupazione, a meno che questa non venga ricordata esplicitamente.
Un po’ tutti si sentono coinvolti, ma senza enfasi.
Molti intervistati sottolinenano il fatto che il problema dei rifiuti merita un’attenzione maggiore di quella che gli viene normalmente attribuita.
Si parla molto di educare la gente, di informarla, di “bombardarla” di comunicazioni. Ci si sente impreparati di fronte all’argomento e si vorrebbe essere aiutati, o costretti, ad occuparsene con maggiore serietà.
Ci si dichiara disponibili ad intervenire personalmente, ma si teme che gli altri non lo siano altrettanto.
Il tema dei rifiuti viene immediatamente definito in termini di problema etico.
E’ una questione di buon comportamento, di educazione, di efficace organizzazione del rapporto sociale tra le persone.
La problematicità della situazione viene fatta discendere, in primo luogo, dalla inciviltà del nostro tempo, dalla crescente incapacità delle persone a convivere ed a rispettarsi.
Per molti versi: il rifiuto suscita una questione di natura morale.
La rilevanza del problema appare crescente agli occhi del campione intervistato. In questi ultimi anni ha guadagnato terreno e visibilità.
Molti si dichiarano dunque disposti a dei sacrifici, anche economici, per tentare una soluzione. Merita darsi da fare per qualche cosa che suscita inquietudine diffusa.
Si percepisce chiaramente il fatto che i mezzi di comunicazione di massa attribuiscono a questo aspetto della nostra vita un’attenzione sempre maggiore.
E’ un problema che sta “sotto gli occhi di tutti”, di cui parlano i giornali e la televisione. Si tratta però anche di una questione relativamente qualsiasi, che siste tra molte altre.
Si tende però anche a dimenticarsene, sia per la sensazione di non potere intervenire utilmente al riguardo, sia per l’impressione diffusa di non essere competenti in materia.
Si nota che il fenomeno esiste, se ne parla, ma non si va molto più in là.
Il problema della spazzatura, in sè e per sè, viene definito in termini piuttosto vaghi.
La gran parte del campione non sembra avere un’idea di quale sia il destino degli scarti una volta che questi sono usciti da casa propria.
Ciò che non serve più viene chiuso nel sacchetto e gettato in una pattumiera esterna. Dopo di che: non ci si pensa più. Da questo momento in poi la faccenda diventa appannaggio di qualcun’altro.
Invitati a definire più precisamente che cosa siano i rifiuti, ed i problemi che si connettono alla loro gestione, gli intervistati fanno riferimento essenzialmente a ciò che direttamente se ne può vedere.
Il rifiuto è il sacchetto, il cestino della carta straccia, il bidone nel cortile, il cassonetto, o la campana per il vetro sui marciapiedi.
Il rifiuto è una cosa di tutti i giorni, e nel contempo è quasi esclusivamente quello di casa. In termini spontanei: si parla solo di ciò che deriva immediatamente dalle proprie personali abitudini di vita.
Il rifiuto è, per definizione, “schifoso”. Fa orrore, è mostruoso. Gli aggettivi utilizzati per descriverlo sono tutti ispirati al concetto del fastidio e della repulsione.
La loro caratteristica maggiore, e più drammaticamente percepita, è l’odore. I rifiuti sono “puzza”.
Il fastidio profondo che suscitano si collega ad una reazione primordiale, anche sul piano della risposta biologica, quale è l’odore (la modalità più atavica ed animalesca di rapporto col mondo).
Il problema del rifiuto nasce essenzialmente dal carattere materiale del rifiuto stesso.
Si tratta di qualcosa che occupa spazio, che ha un volume, e che quindi soffoca le persone assediandole da vicino.
La prima immagine che viene evocata dal concetto di spazzatura è quella di una montagna incombente, che continua a crescerci attorno e che forse presto avrà la meglio anche sull’ambiente di vita delle persone.
Non si sa più dove mettere tutta questa prolificazione di materia, e si teme che in futuro non ci saranno più spazi per entrambi (noi e loro).
La visibilità del rifiuto è accentuata dalla presenza dei sacchi della nettezza urbana per le strade della città.
Questi rappresentano il prototipo del problema della spazzatura sia nel senso che si tratta di qualcosa che ingombra passivamente lo spazio delle persone sia nel senso che suggerisce la sensazione che non tutti facciano la loro parte per risolvere il problema.
Lo stazionare costante di questi sacchi viene infatti attribuito all’inefficienza di chi è deputato a smaltirli (spazzini poco attivi, scioperi, corruzione, ecc.).
Non ci si sente direttamente responsabili della spazzatura. Il suo trattamento viene percepito come un servizio pubblico che non riguarda più di tanto l’azione del cittadino.
Nè ci si sente più che tanto appoggiati in questo senso. E infatti non è sempre facile trovare i cassonetti, specie della raccolta differenziata, mentre risulta complicato liberarsi dei mobili ed in genere degli oggetti ingombranti.
Alcuni intervistati collegano il tema della spazzatura ad una questione di costi. L’idea è che la loro gestione rappresenti un impegno economico, ma anche che sia possibile specularci sopra.
Altri evocano situazioni “all’estero”, in cui il problema nemmeno si pone in quanto viene risolto con assai maggiore efficacia che da noi. Non si sa peraltro dire, al di là della generica fantasia, in che cosa queste brillanti soluzioni consistano nel concreto.
Il tema dei rifiuti viene associato spontaneamente all’inadeguatezza dei responsabili che se ne dovrebbero occupare.
Si ha scarsa fiducia in quelli che dovrebbero portarli via, e più ancora si nutre la sensazione che gli amministratori attuali siano inadeguati al problema.
Molti intervistati ritengono che non possiedano la competenza necessaria, ovvero che approfittino della situazione per perseguire un qualche loro interesse personale.
Nel problema dei rifiuti si vede il riflesso della più generale inefficienza della pubblica amministrazione.
La questione dei rifiuti è strettamente collegata, agli occhi del campione intervistato, con il tema dell’eccessivo consumismo tipico del nostro tempo.
Molti sottolinenano insistentemente il fatto che c’è troppa carta, troppa plastica, troppa apparenza nei prodotti che si comprano ogni giorno. E’ tutto materiale che si getta, che occupa spazio e crea difficoltà, che da una sensazione di spreco. La ridondanza degli scarti è anche una faccenda di inutili apparenze.
L’eccesso di materiali scartati viene messo in relazione, da parte di alcuni, con l’aumento della popolazione.
Siamo in troppi, cresciamo continuamente, e diffondiamo le nostre tracce dappertutto. La vita contemporanea si connette ad un senso di invasione subita, che i rifiuti incombenti accentuano ulteriormente.
Molti sottolineano inoltre che, una volta, questo problema non c’era. Il buon tempo andato era più gradevole e rassicurante anche in virtù della limitata propensione a gettare tutto.
Un altro rilevante concetto che appare immediatamente collegato al tema dei rifiuti è quello del riciclaggio, reso particolarmente visibile dall’esistenza della raccolta differenziata.
La sensazione diffusa, ovvero il desiderio implicito, che gli intervistati esprimono è quello di una possibile rigenerazione per ciò che è stato lasciato da parte.
Si pensa, e più ancora piace pensarlo, che il rifiuto non sia mai definitivamente tale. Le cose abbandonate possono cioè tornare a nascere, riciclandosi appunto in una nuova potenzialità.
La prova concreta di tale opportunità viene percepita direttamente nelle campane per la raccolta del vetro, nel fatto che molti conservano i rifiuti cartacei separatamente dal resto, nell’aver sentito dire che è possibile riutilizzare la plastica, i metalli e forse anche altri materiali.
Tale opportunità viene spesso riferita, anche in questo caso, a ciè che si ritiene avvenga “all’estero”, ma la si può vedere in atto, ancorchè solo ad un livello relativamente pionieristico, anche da noi.
Alcuni sottolinenano sin da subito che, se i contenitori per la raccolta differenziata fossero facilmente accessibili, una parte rilevante del problema sarebbe risolta.
La generalità dei soggetti si dichiara spontaneamente disponibile a collaborare in prima persona, ed anzi denuncia talvolta un certo disagio per il fatto che l’organizzazione attuale della gestione dei rifiuti non permette di sfruttare fino in fondo una simile opportunità.
Tra le righe: molti sembrano ritenere che, tutto sommato, quasi ogni cosa potrebbe venire riutilizzata, se solo ci fosse la buona volontà di farlo.
Ciò che maggiormente si teme del rifiuto, almeno in prospettiva, è la possibilità di essere sopraffatti dalla loro molte.
Il rifiuto è qualcosa che avvolge, accerchia e finalmente soffoca. Ci si sente assediati dalla sua presenza, e si ha paura di non riuscire mai a trovare un accordo per sconfiggerlo.
La produzione di rifiuti viene percepita come un potenziale suicidio collettivo, verso cui ci stiamo muovendo inconsapevolmente. Nella sua crescita si ravvisa il fantama dell’autodistruzione dell’umanità.
2. GLI IMPIANTI ATTUALI
Il campione intervistato dimostra, a livello spontaneo, di possedere una conoscenza solo molto vaga ed approssimativa degli impianti di trattamento per i rifiuti presenti nella propria area di residenza.
Si rileva una maggiore consapevolezza presso i soggetti che abitano a Gerenzano, per i quali l’incombere della discarica rappresenta una realtà più concreta.
La tendenza di fondo è comunque caratterizzata da una evidente inconsapevolezza.
Le idee sui sistemi attuali di trattamento dei rifiuti sono decisamente approssimative.
Si sa che la spazzatura prima o poi sparisce, una volta depositata negli appositi sacchi, ma non se ne conosce la destinazione. Molti non sembrano avere mai pensato a tale fenomeno con una qualche sistematicità.
Ci si immagina che possano esserci degli impianti, magari nei dintorni, ma si tratta di una sensazione abbastanza vaga.
Fa appunto eccezione Gerenzano, dove invece la descrizione della discarica, che in genere è stata vista di persona, appare tecnicamente più precisa.
In questo caso: si sottolinea che è stata utilizzata una vecchia cava, che la discarica più vecchia era tecnologicamente inaffidabile, che quella nuova è invece concepita con criteri assai più affidabili.
Qualcuno si addentra in spiegazioni di dettaglio sui vari rivestimenti, sulla presenza del biogas, sui problemi connessi alla falda.
L’invito, da parte dell’intervistatore, a parlare degli impianti attuali spinge peraltro gli intervistati a rievocare le tensioni sociali connesse al problema piuttosto che ad addentrarsi in spiegazioni tecniche, cui non si sentono affatto portati.
E’ più facile che si parli delle manifestazioni contro le discariche piuttosto che delle relative strategie ingenieristiche.
Ciò vale particolarmente per Gerenzano, dove alla relativa competenza tecnica si affianca una costante preoccupazione per il fatto di dover subire la presenza dell’impianto.
Il dato tecnico si presenta anzi, fondamentalmente, come una pezza razionale di supporto al dichiarato desiderio di eliminare la discarica. Questa viene descritta infatti come uno scotto da subire, come “una fregatura” appioppata dai Milanesi, come un sentimento di frustrazione e di sconfitta che pesa sull’orgoglio dei cittadini.
Nei confronti degli impianti di smaltimento attualmente presenti, pur nei limiti in cui ci si rende conto che esistono, viene manifestata una evidente antipatia di fondo.
Sono percepiti come strutture comunque negative, che dovrebbero in ogni caso venire ridotte al minimo indispensabile ovvero che, più in generale, non dovrebbero esistere affatto.
Fondamentalmente: non si riesce a vedere in questi impianti delle caratteristiche positive, ma semplicemente di si limita a subirli.
La sensazione è che tutti abbiano qualcosa da perdere per la loro presenza. E i più svantaggiati, dalla loro invadenza, sono quelli che ci vivono vicini.
Non si riesce a vedere un qualche pregio in questi impianti. Sono una necessità evidente ma, in fondo in fondo, non vengono considerati assolutamente necessari.
La loro rilevanza è emersa in questi ultimi tempi. Rappresentano tuttavia qualche cosa di aggiunto rispetto alle vere necessità della vita.
Li si considera il prodotto di una inefficienza del nostro sistema sociale piuttosto che uno strumento davvero utile.
Tra i problemi tipici di tali impianti vengono citati i riflessi negativi sul piano dell’ambiente.
Si pensa ad una alterazione negativa dell’aria, specie per quel che riguarda gli inceneritori, e della falda, specie con riferimento alle discariche.
Tale inquinamento tende a venire percepito come un avvelenamento di carattere indefinito. Non si tenta di descriverne il meccanismo, ma si tende piuttosto ad immaginare un lento colare verso il basso, che finisce coll’alterare la natura profonda del terreno.
La tendenza a collegare il problema degli impianti di smaltimento con i temi ecologici è presente solo in una parte del campione.
Per molti si tratta piuttosto di una questione di decoro.
Il problema ambientale viene spesso delineato in termini di igiene. Si tratta allora soprattutto di tenere pulito e in ordine, in modo analogo a quanto ci si aspetta debba avvenire per la propria persona o per la casa.
Secondo altri, la dimensione ecologica della questione può finire con l’avvelenare gli animi portando il dibattito su di un livello troppo emotivo.
Posto che gli impianti per i rifiuti presentano solo difetti, qualcuno immagina che possano dare luogo anche a dei vantaggi, ma solo per una ristretta cerchia di persone.
Se ne avvantaggiano, eventualmente, altri. Si pensa allora al comune, a quelli che ci lavorano e a quelli che ci lucrano. Si tratta però di guadagni parassitari, piuttosto lontani dalla pubblica utilità.
In subordine: si pensa che possano avvantaggiarsene “quelli di fuori”, quando riescono ad appioppare i propri rifiuti ad altra gente.
Ne consegue che nessuno è veramente favorevole agli impianti.
Si tratta di strutture che oggi appaiono necessarie, ma che in effetti nessuno vuole.
Con qualche sforzo, si pensa che possano essere apprezzati, in termini molto astratti, dai verdi e dai cittadini, per il fatto che servono ad affrontare il problema dei rifiuti dispersi nell’ambiente. Ma si tratta di una virtù che nasce dalla necessità.
Si citano poi gli industriali ed i politici. Per entrambi: l’impianto può rappresentare un motivo di guadagno e quindi può anche venire, strumentalmente, apprezzato.
I soggetti maggiormente contrari sono, di conseguenza, più o meno tutti senza distinzioni significative.
Per quanto concerne l’atteggiamento dell’intervistato in prima persona, questi è combattutto tra la convinzione razionale che il problema debba in qualche modo essere risolto e la volontà di non pensarci affatto.
C’è una dichiarata disponibilità a collaborare per una soluzione, ma anche il timore costante di essere gli unici a pagare mentre gli altri se la ridono.
Si è certamente disposti a fare degli sforzi, ma non ad essere gli unici che li fanno.
3. TIPOLOGIE DI RIFIUTI
Quasi nessun intervistato sviluppa, a livello spontaneo, una distinzione fra i diversi generi di rifiuto.
La spazzatura è, per definzione, quella con cui si intrattengono rapporti diretti, e coincide quindi con quella di casa.
Il rifiuto, per la gran parte del campione, è semplicemente ciò che si getta nel cestino o nella pattumiera. E’ difficile invece concepire che cosa altri soggetti, diversi dal cittadino medio, possano rifiutare.
Il concetto di “rifiuto solido urbano” dà tutt’al più luogo ad una distinzione tra ciò che è solido e ciò che è liquido.
La componente liquida, più o meno, è rappresentata da quello che si può buttare nel lavandino. Vi viene associato anche tutto ciò che è molle, ovvero potrebbe facilmente essere ridotto ad un quasi liquido, come avanzi di cibo ed in particolare di verdure.
Si tratta comunque di materiali che possono essere eliminati attraverso l’acqua (quanto meno: lo scarico del gabinetto).
I rifiuti non-solidi ricordano quelli delle fognature e sono concettualmente separati dagli altri.
I rifiuti “solidi”, agli occhi degli intervistati, sono gli scarti della vita domestica, che vengono prodotti in relazione con la tendenza allo spreco e all’eccesso di consumi.
Si tratta sostanzialmente di materiali di per sè utili, che momentaneamente non servono ma potrebbero senza troppi problemi venire riutilizzati.
Questi non vengono propriamente rifiutati quanto piuttosto accantonati. Si eliminano perchè ingombranti, ma non perchè siano di per sè repellenti.
Espressamente invitati ad esprimere il proprio parere sui “rifiuti tossico nocivi”, gli intervistati riescono a sviluppare una propria valutazione anche se con qualche sforzo.
Questo tipo di scarto viene immediatamente associato al concetto di pericolo.
La definizione stessa invita a pensare a qualcosa che fa male, che compromette gravemente la salute, che si insinua come un veleno senza che noi possiamo fare nulla per contrastarlo.
Il rifiuto tossico nocivo è percepito soprattutto come quello prodotto dalle industrie, e particolarmente dagli impianti chimici, ovvero dalle concerie, dai laboratori e dalle piccole aziende che se ne disfano di nascosto.
Poichè si tratta di un prodotto industriale, si ritiene generalmente che sia compito delle industrie rimediare al danno, o meglio ancora evitare di produrlo, attraverso depuratori e maggiori attenzioni.
Non ci si sente responsabili di questo tipo di rischio.
Il rifiuto tossico nocivo può, secondo alcuni, essere presente tra gli scarti di casa.
Si pensa allora alle bombolette spray, agli acidi, le vernici, i detersivi, le pile usate, forse le medicine.
Anche in questo caso, tuttavia, non ci sente personalmente responsabili della pericolosità di questi materiali. Sono le industrie a produrli, e quindi la causa va eventualmente ricercata in loro.
I rifiuti tossico nocivi vengono generalmente collegati all’idea del liquido e dell’aereo, ma molto meno a quella del solido.
La loro natura è relativamente evanescente ed impalpabile. Sono un prodotto che tipicamente si diffonde e quindi non può avere una struttura troppo compatta.
Fanno caso a parte le scorie nucleari, spesso citate come massimamente pericolose anche se in una categoria separata da quella dei tossico nocivi.
Espressamente invitati a parlare dei “rifiuti sanitari”, gli intervistati appaiono piuttosto perplessi.
Pensano ai medicinali scaduti ed ai rifiuti ospedalieri. Associano frequentemente questo concetto agli avanzi delle operazioni effettuate su soggetti umani.
Citano anche i rifiuti biologici, ovverosia le feci, che vengono eliminati attraverso le fognature.
Alcuni parlano di scarti connessi a prodotti utilizzati a contatto con il corpo, quali: siringhe, assorbenti igienici, preservativi.
Anche nel caso dei rifiuti sanitari: conta soprattutto l’esperienza personale.
Si pensa essenzialmente a qualche cosa con cui si ha avuto direttamente a che fare. Ci si ricorda di quello che si è utilizzato in prima persona.
Qualcuno ricorda i contenitori presenti nelle farmacie, ma non li collega alla generalità dei possibili rifiuti sanitari.
Si tratta peraltro di una categoria di scarti che non sembra essere spontaneamente presente nella mente dei soggetti.
In generale: gli intervistati tendono a ritenere che esista più o meno sempre la possibilità di riciclare i materiali da loro scartati.
Pensano soprattutto alla carta, il vetro, le lattine, la plastica, le pile, i medicinali.
Hanno spesso la sensazione che si sia solo all’inizio di un’epoca in cui il riciclaggio prevarrà nettamente sul gettare via.
Si dichiarano comunque ben disposti ad attuare una raccolta differenziata, purchè il compito sia facilitato da un’efficace organizzazione esterna di supporto.
4. TIPOLOGIE DI IMPIANTI
Invitati a sviluppare una valutazione su tre tipologie specifiche di impianti attuali, gli intervistati dimostrano di essersi fatta un’immagine relativamente precisa soprattutto delle discariche.
Quando pensano a questo tipo di struttura, ne evocano però una versione piuttosto negativa.
L’immagine attuale della discarica è quella di un grosso buco da riempire.
E’ come un grande secchio della spazzatura malamente chiuso verso il basso, o più spesso semplicemente appoggiato sul terreno, e completamente aperto verso l’alto.
Nella gran parte dei casi si evoca una situazione abusiva, abbandonata, dove il materiale viene gettato senza curarsene.
Si pensa ad un deposito per accatastare i materiali e dimenticarsene. Ci si riferisce ad una situazione in cui non viene fatto nulla per evitare gli eventuali effetti negativi.
L’immagine della discarica è caratterizzata da una profondo sentimento di desolazione.
E’ un volume privo di vita, ma da cui emergono surrettiziamente i segni di un’esistenza inquietante. Essa appare allora popolata di “topi grandi come lepri” e di uccelli con l’aspetto di becchini, in mezzo al puzzo di materie in decomposizione. Nella discarica si possono trovare “cadaveri” e “bambini morti”. Dalla discarica, così come dall’inferno, emergono le parti cattive dell’esistenza.
Il quadro è drammatico, ma non privo di connotazioni epiche e spettacolari.
Caratteristica della discarica è anche la presenza continua e martellante dei camion per il trasporto della spazzatura.
Questo elemento, citato in particolare dal campione di Gerenzano, è motivo di grave disagio. Esso conferma la sensazione di subire un assalto dall’esterno, di essere schiacciati da una carovana di invasori che occupano senza tregua il nostro spazio di esistenza.
Al disagio di venire schiacciati dal rifiuto degli “altri” si aggiunge il fastidio dell’incremento del traffico.
Solo una minoranza degli intervistati parla talvolta delle discariche “giuste”, di quelle costruite con criteri di sicurezza.
Si descrivono allora grandi teloni, sistemi di impermeabilizzazione, impianti per il recupero del percolato e del biogas.
La sensazione che sia presente una tecnologia moderna ed efficiente per contrastare i rischi del rifiuto appare allora discretamente rassicurante.
Benchè la sfiducia nei confronti dei gestori rimanga in sottofondo, la conoscenza dei fatti rende la situazione quasi tollerabile.
La funzione della discarica non è sempre chiara.
La maggioranza ritiene che, in linea di massima, serva ad accatastare i rifiuti; ma non pochi la percepiscono come una semplice tappa intermedia per ulteriori trattamenti.
Si pensa allora che i materiali raccolti vengano successivamente “triturati e portati da un’altra parte”, ovvero distrutti in qualche impianto accessorio.
Riesce spesso difficile immaginare il deposito come un fatto definitivo, terminale, per il quale non viene fatto nulla di più che dimenticarsene.
La discarica possiede un limite tipico, rappresentato dalle sue dimensioni fisiche. E’ naturale pensare che questa, a un certo punto, si esaurisca perchè troppo piena.
Tale particolarità dell’impianto fornisce un ulteriore motivo di perplessità, dato che, non fidandosi dei gestori, si teme che possa venire sfruttato al di là delle sue possibilità reali, così da creare ulteriori motivi di preoccupazioni per le conseguenze di un uso selvaggio ed esagerato.
Il secondo impianto meglio conosciuto, seppure nella generale vaghezza delle percezioni espresse dal campione, è l’inceneritore.
Lo si descrive sostanzialmente come una specie di altoforno, o di grande caldaia, di mastodontica stufa o di caminetto, in cui i materiali vengono gettati per essere distrutti dal fuoco.
Ci si immagina allora un alto camino, o una ciminiera, da cui esce il fumo dell’incenerimento. E’ un impianto facile da immaginare.
L’inceneritore viene vissuto come una tecnologia buona, che elimina la gran parte del rifiuto togliendolo dalla vista e dalla realtà.
Poichè non si vuole che il rifiuto esistea, questa scomparsa appare decisamente rassicurante, dato che riduce il volume (lo spazio) che il rifiuto morto altrimenti si trova ad occupare.
La natura purificatrice del fuoco è inoltre una garanzia notevole di pulizia e di igienicità.
Il difetto principale dell’inceneritore sta nella sua incapacità di distruggere completamente i materiali che vi vengono trattati.
Già a partire dal suo nome, si capisce che produce cenere. Riduce insomma la quantità del rifiuto ma non lo fa sparire del tutto.
Viene percepito come un’ottima soluzione al problema dello spazio ingombrato ed alla eternità del deposito, ma non appare comunque come l’espediente assoluto.
Il fumo prodotto dall’inceneritore è considerato piuttosto infido e pericoloso. Non si sa che cosa sia esattamente e si sospetta possa essere tossico. L’idea è che si formi della cenere, la quale si diffonde poi nell’aria avvelenando l’intorno. Può capitare allora che si evochi l’idea della “diossina”.
Alcuni ritengono tuttavia che possa esistere una soluzione a questo rilevante difetto, attuata collocando dei filtri ovvero un qualche depuratore sulla ciminiera. In questo caso, si ritiene che l’impianto possa risultare certamente più sicuro.
L’inceneritore è considerato un impianto più definitivo della discarica dato che, a differenza di questa, può funzionare all’infinto. L’inceneritore non si esaurisce mai, ma rimane lì come una qualsiasi struttura industriale.
Questo significa un rassicurante minore spreco di risorse, per un marchingegno destinato a durare, ma vuole anche dire che l’accettazione da parte della popolazione dell’inceneritore è una scelta decisamente definitiva.
Invitati ad esprimere il proprio parere sulle piattaforme, gli intervistati cadono completamente dalle nuvole.
Praticamente nessuno ritiene di conoscere questo ripo di impianto, anche se ha la sensazione di avere sentito parlare di qualcosa del genere, benchè non con riferimento ai rifiuti.
Le valutazioni sulle piattaforme rappresentano dunque di fatto, nell’ambito delle interviste, una specie di test proiettivo su un impianto possibile.
Posto che per alcuni la piattaforma per il trattamento dei rifiuti non esiste, gli altri si sforzano di immaginare un qualche cosa, che di fatto coincide con una fantasia.
Si pensa in particolare a qualche cosa di lontano, che ha a che fare con il mare, ad un impianto sospeso sull’acqua.
E’ evidente l’effetto alone suscitato dalle piattaforme petrolifere. Di queste vengono colti, come dati positivi, specialmente la lontananza ed il senso di pulizia che viene ricollegato al mare (e particolarmente ai mari freddi).
Sulla misteriosa piattaforma viene proiettato il desiderio di un impianto sicuro, dove le tecnologie più moderne vengono messe a frutto per la risoluzione di problemi difficili ma non impossibili.
Si pensa ad un impianto molto evoluto, dove tutto viene sterilizzato e rigenerato. Si evoca l’idea del progresso al servizio dell’uomo per la costruzione di un mondo migliore. La sua qualità maggiore è quella di far scomparire il rifiuto, di ingoiarlo nel nulla o di ridargli vita.
Le fantasticherie sulla piattaforma esprimono la speranza e l’aspettativa magica che ci possa essere una soluzione definitiva.
Solo una ristretta minoranza affronta il tema della piattaforma in termini più realistici e concreti.
Si pensa allora ad una struttura per il trattamento, e sostanzialmente per il riciclaggio, dei prodotti tossici ed in particolare degli olii non utilizzabili altrimenti.
Da questo punto di vista: la piattaforma rappresenta una possibile soluzione, ritenuta forse già esistente, ma solo per un aspetto particolare del problema.
5. L’IMPIANTO IDEALE
La classifica degli impianti preferibili, per il trattamento dei rifiuti, viene stilata dagli intervistati con qualche difficoltà.
Il fatto principale è che non si vuole che il problema esista, mentre ogni intervento al riguardo presuppone comunque l’accettazione dell’esistenza del rifiuto stesso.
La soluzione ideale viene peraltro vista nel recupero, nel riciclaggio, e cioè nella negazione del processo che porta alla produzione dello scarto.
L’ideale non è dunque rappresentato nè dalla discarica nè dall’inceneritore nè dalla piattaforma.
Qualcuno ipotizza una scomparsa definitiva dei rifiuti, che potrebbero essere lanciati nello spazio o fatti sparire al centro della terra.
Il sogno è di farli finire in un luogo talmente distante che questi finiscano di fatto col non esistere più o non esistere affatto. Più lontano arriveranno dagli occhi e meno esisteranno nella mente delle persone.
Dovendo per forza tentare una graduatoria, ma sempre senza convinzione, sembra che l’inceneritore possa risultare più accettabile della discarica.
Questo tipo di impianto possiede infatti la capacità maggiore di eliminare il disagio alla radice. Attraverso di esso, lo scarto perde di realtà e quindi appare meno inquietante.
E’ molto apprezzata anche la piattaforma, ma solo per le sue caratteristiche fantastiche di intervento magico.
Si evidenzia peraltro una notevole aspettativa nei confronti della tecnologia come panacea per ogni problema.
E’ logico pensare che una qualche soluzione ci sia e che la capacità dell’uomo riuscirà a sconfiggere anche questo nemico.
Si pensa anche ad un istituto di ricerca, o comunque ad una organizzazione al di sopra delle parti, che trovi una buona volta la strada per armonizzare le variabili in gioco e portare in modo naturale ad una ovvia conclusione positiva.
L’impianto ideale dovrebbe eliminare tutti i rifiuti, senza eccezione. Dovrebbe cioè fare scomparire il problema.
Dovrebbe essere collocato lontano da tutti, ed al di fuori della vista di chiunque.
Non dovrebbe avere ciminiere, o produrre fumi visibilmente pericolosi, ma confondersi tranquillamente con il paesaggio circostante.
Dovrebbe essere una struttura di cui non si sente mai parlare, e di cui in sostanza non si sa nemmeno che esista (ovvero che non esiste proprio).
Se proprio è inevitabile la presenza di un qualche impianto, allora è fondamentale che questi presenti tutte le garanzie del caso.
Tali garanzie devono essere in primo luogo relative alla qualità dell’impianto, nel senso che devono essere messi in atto tutti gli accorgimenti più moderni e tecnologicamente avanzati affinchè il processo di sparizione si svolga nel modo più completo e senza lasciare tracce o residui.
La garanzia maggiore non viene però ricercata tanto nell’impianto quanto piuttosto nelle qualità di chi lo gestisce.
Gli amministratori della cosa pubblica vengono percepiti attualmente come la principale causa dell’insorgere del problema dei rifiuti. Alla loro presunta inefficienza e corruzione viene attribuito infatti quel processo di sbandamento che ha fatto emergere una difficoltà che una volta non esisteva.
Al posto di tale classe inaffidabile si vorrebbe dunque vedere un qualche garante davvero sicuro.
Non è però facile stabilire chi potrebbe offrire davvero le necessarie garanzie.
Una gestione privata appare immediatamente caratterizzata da efficienza e competenza. I privati sanno che cosa fare e lo fanno con sicurezza.
Viene però idenficata anche una notevole dimensione negativa nella gestione privata, e cioè il fatto che il privato pone troppa attenzione alla redditività economica. Ciò significa che può pretendere di ricavare vantaggi che vanno oltre il lecito.
Il diretto interesse economico viene allora percepito come una pericolosa limitazione, poichè potrebbe portare a mettere da una parte le garanzie stesse di sicurezza.
L’immagine negativa che caratterizza l’amministratore pubblico non sembra però inquinare il vissuto della gestione non-privata in genere.
Il gestore pubblico non è affidabile in quanto politico, ma rappresenta un sogno di equanimità che il privato non può assicurare.
Pur con tutta la diffidenza del caso, molti intervistati ritengono che, tutto sommato, una gestione pubblica sarebbe almeno teoricamente la più affidabile.
C’è una contraddizione evidente tra la sfiducia per il politico e l’aspirazione ad una gestione di tipo pubblico. Gli intervistati non sembrano tuttavia farci troppo caso.
Qualcuno la risolve immaginandosi una struttura di garanzia al di sopra delle parti, composta di tecnici e non di politici. Gli esperti, integerrimi e votati alla scienza, appaiono allora l’incarnazione della speranza che siano i fatti a parlare proponendo quasi da soli la soluzione ideale.
Del tutto marginalmente: viene citata l’ipotesi di un’associazione fra cittadini ed operatori che si accordino tra di loro.
6. INQUADRAMENTO CONCLUSIVO
A conclusione del rapporto di ricerca vengono presentate alcune considerazioni generali che vanno anche al di là di quanto emerso letteralmente dalle interviste.
Tali riflessioni hanno lo scopo sia di sintetizzare i punti più rilevanti dell’atteggiamento degli intervistati sia di mettere in luce alcuni aspetti più profondi del loro vissuto.
Un primo dato forte, che emerge dalle interviste, è la notevole incapacità da parte del campione intervistato ad affrontare il tema dei rifiuti, e degli impianti per il loro smaltimento, in termini rigorosi.
Le idee al riguardo sono piuttosto oscure, sia per quanto riguarda il dato generale sia con riferimento agli aspetti particolari connessi ai vari tipi di rifiuto ovvero alle modalità di trattamento.
Anche gli intervistati maggiormente impegnati sui temi ecologici, ovvero quelli con una cultura più tecnica ed evoluta, dimostrano una competenza decisamente limitata.
Impera una diffusa incertezza, non poca confusione, ovvero la sensazione di non essere sufficientemente aggiornati per affrontare adeguatamente la questione.
La sensibilità al problema è sicuramente maggiore della competenza a trattarlo, ma anche questa tende ad emergere più che altro in base alle richieste dell’intervistatore.
A livello spontaneo, il rifiuto è essenzialmente quello di cui si ha esperienza diretta.
La spazzatura è quella di casa, che si mette nel sacchetto, ovvero il bidone e il cassonetto. L’impianto di smaltimento è quello in cui si butta il sacchetto o il frigorifero rotto. Solo eccezionalmente si parla dello scarto industriale ovvero delle scorie nucleari.
Il cittadino si sente direttamente coinvolto nel problema solo se questo si collega ad una propria attività diretta.
Il rimedio diretto al problema dei rifiuti, quale viene prospettato dalla generalità degli intervistati, è il riciclaggio.
Il rifiuto, se è riciclabile, diventa buono, in quanto non è più un rifiuto ma solo uno stato transitorio, e potenzialmente produttivo, nella vita degli oggetti.
Il riciclaggio produce il guadagno di alcuni soltanto (i riciclatori) ma significa che non esistono cose morte, dato che tutto riesce a rivivere in modo costruttivo.
In tutta la questione dei rifiuti ha un peso considerevole l’intervento dei mezzi di comunicazione di massa, ovvero delle parole che questi utilizzano.
Appare molto evidente, nel caso in esame, che le parole sono cose.
Il problema delle discariche esiste in primo luogo attraverso i giornali e la televisione. L’atteggiamento del pubblico appare determinato in parte non indifferente dagli esempi di cui si è sentito parlare e dai modelli di reazione proposti dalla cultura del nostro tempo.
Non pochi aspetti dell’immagine del rifiuto derivano dal fatto che questo viene definito come ciò che non si vuole (si rifiuta, appunto) per antonomasia.
L’inceneritore produce, per definizione, delle ceneri.
I materiali tossico-nocivi sono necessariamente velenosi e apportatori di male.
Tutto questo avviene in modo relativamente indipendentamente dalle (peraltro assai limitate) conoscenze al riguardo.
Il rifiuto viene rifiutato di per sè. E’ un dato di fondo quasi viscerale che non viene sviluppato in termini razionali.
Avere a che fare con qualche cosa che viene definita solo dal fatto di essere stata scacciata e quindi di non essere voluta, da nessuno, rappresenta un elemento suscitatore di ansia.
Riesce a molti difficile accettare il problema poichè significa accettare l’azione del rifiutare.
L’immagine del rifiuto, così come viene proposta oggi, è la materializzazione del peggio.
La spazzatura è mostruosa, schifosa, sporca. Rappresenta la vittoria del degrado fisico e biologico. E’ contaminazione, decomposizione organica, e quindi morte.
L’opposizione nei confronti del rifiuto appare dunque caratterizzata in larga parte, al di là dei dati obiettivi, da forti caratterizzazioni di ordine simbolico.
La natura istintivamente degradata di ciò che è rifiutato viene resa evidente dal suo odore. Il rifiuto sa di morte.
In natura tutti gli odori sono sostanzialmente “buoni”, come può avvenire anche per gli escrementi (ad esempio: il sentore di stalla).
Gli odori artificiali, se identificati come tali, sono invece sempre “cattivi” perchè malati.
La fuga dal rifiuto, dal suo odore, è imparentata con il terrore etologico della putrefazione.
Il rifuto è “la cosa che rimane lì”. Rappresenta ciò che non può scomparire. E’ un ingombro materiale che continua ad esistere al di là del tempo.
E’ un oggetto eterno che non produce vita. Rappresenta soltanto un limite negativo. Non entra in nessun ciclo biologico di rinnovamento. Si propone come fase inesorabilmente terminale in un mondo che pure aspira sempre all’eternità.
In questo senso: il rifiuto è l’ipostatizzazione di ciò che è finito e non può rinascere. E’ la prova della eternità della morte.
La discarica finisce dunque col confondersi con un cimitero.
E’ la fossa comune delle cose senz’anima. Cose che erano e non sono più. Cose che hanno finito di vivere. E’ una parte morta dell’uomo che viene seppellita, e in un certo senso lasciata a cielo aperto, dentro una terra sconsacrata, cioè non esorcizzata ed isolata dai sentimenti negativi che suscita.
E il più diretto concorrente della discarica, l’inceneritore, si associa, quando funziona, all’idea della cremazione.
La natura mortale del rifiuto emerge anche dallla sua sostanziale indistruttibilità e dal fatto di occupare spazio.
Il rifiuto soffoca, schiaccia, toglie l’aria. E’ un volume che si sostituisce alla vita. E’ una malattia cronica che cresce contro di noi e da cui non si guarisce mai.
Il rifiuto è depressivo. E’ il male da cui non riusciamo a redimerci, e che finisce comunque col contaminarci anche se non abbiamo nessuna colpa.
Il rifiuto materiale si imparenta dunque con il rifiuto biologico “cattivo”, con ciò che di noi si vuole abbandonare.
Il problema della spazzatura si collega a quello della gestione delle feci. E la discarica viene percepita come una fognatura a cielo aperto, come un grande secchio in cui raccogliere gli escrementi senza che questi possano ritornare nel grande ciclo della natura.
Ma, mentre per i rifiuti biologici si è trovato un sistema di occultamento e di assorbimento, per quelli fisici si è di fatto trovato un modo per renderli evidenti.
Il carattere tetro della discarica viene parzialmente riscattato dagli alberi che, quando eventualmente vi crescono sopra, recuperano l’idea della vita che risorge.
Non si coglie però un legame chiaro e diretto tra le due cose, tra il sacchetto di plastica e le radici del bosco. La natura che sorge dal rifiuto sembra dunque rappresentare una sovrapposizione assai più che un’osmosi.
Questa strada, potenzialmente interessante, sembra dunque richiedere dei perfezionamenti di natura concettuale.
L’altro grande tema che caratterizza il problema degli impianti di smaltimento, accanto a quello della loro natura macabra e repulsiva, è rappresentato dal loro inscriversi nel più generale tema della ridefinizione contemporanea del contratto sociale.
La gestione del rifiuto, in quanto si collega ad un problema di ripartizione del disagio collettivo, chiama in causa la necessità di costruire un accordo comune in cui ciascuno faccia la sua parte.
Il disagio della gestione del rifiuto richiede deve allora di essere diviso equamente fra tutti.
I patti devono essere chiari e nessuno deve avere la sensazione di venire sopraffatto. Invece della sensazione attuale, che pochi facciano tutto mentre molti non fanno niente, c’è il desiderio di sapere che ognuno collabora per la parte che gli compete.
Tutti devono apparire uguali, e quasi avere ciascuno il proprio inceneritore o la propria discarica di condominio, così che il disagio, così come l’eventuale vantaggio, sia comune.
La diffusa pretesa a collocare gli impianti comunque lontano dalla propria casa non sembra vada intesa come un tentativo di fare dispetto ai vicini quanto piuttosto come un desiderio che nessuno abbia a riceverne un disagio.
L’aspirazione non è semplicemente quella che l’aborrita struttura stia “non nel mio giardino” quanto piuttosto “in nessun giardino”.
Il desiderio predominante non è quello di passare il cerino acceso al vicino di casa quanto piuttosto di eliminare il problema.
Il diffuso senso di disagio che il pubblico dove viene ipotizzata una discarica esprime sembra nascere dalla sensazione di essere stati in qualche modo imbrogliati.
Il rischio ecologico connesso agli impianti pare avere la sua importanza, ma conta di più lo smacco per l’umiliazione subita.
Accettare nel proprio spazio vitale ciò che gli altri hanno rifiutato significa accettare una posizione infima nell’ordine di beccata che organizza il nostro corpo sociale.
In quanto suscita un sentimento così viscerale di ribellione, il problema degli impianti si presta a coagulare il senso di appartenenza all’interno di una comunità.
L’indicazione di un luogo preciso per l’impianto permette agli oppositori di percepire un riferimento comune di appartenenza con gli altri abitanti, che altrimenti appaiono in via normale degli estranei.
Il fatto di subire tutti lo stesso disagio assegna un nuovo elemento per costruire la propria identità nella nostra società anonima.
La sensazione di essere stati imbrogliati, e di trovarsi ad essere gli unici a pagare, si sposa con la diffidenza di fondo nei confronti delle autorità politiche ed amministrative.
Si costruisce dunque un sentimento del “noi” che rifiutiamo l’impianto contrapposto a “loro” che ce lo vogliono imporre. Tale contrapposizione si colora di istanze localiste che si confrontano con il potere centrale.
In ogni caso: la costruzione di un capro espiatorio, rappresentato da amministratori incapaci o corrotti, sembra meno importante del nuovo sentimento di appartenenza alla comunità locale.
La tollerabilità degli impianti appare molto maggiore quando il pubblico possiede degli elementi razionali di conoscenza al riguardo.
Specie per quanto concerne le discariche, il fatto di conoscere le moderne tecniche di sicurezza che vengono attuate rappresenta un forte aiuto all’accettazione.
Come avviene per la generalità degli sterotipi negativi, la possibilità di avvicinare in termini realistici ciò che si teme è uno strumento potente per ridurre le difese.
In conclusione, occorre comunque sottolineare, come dato di fondo, che il problema chiave non è rappresentato dai rifiuti bensì dalle discariche.
Il rifiuto è qualche cosa a cui non si vuol pensare, è qualcosa che non si vuole esista. Ciò che conta è che scompaia immediatamente dopo essere apparso, ovvero che non si concretizzi affatto.
L’impianto di smaltimento, al contrario, rende il rifiuto visibile, lo drammatizza, e finisce col rappresentare, almeno su di un piano concettuale, il problema assai più della sua soluzione.
Dal punto di vista della possibile soluzione del disagio sembrano evidenziarsi dunque due livelli diversi e per certi aspeti quasi opposti.
Il primo livello è di natura tattica, ed ha la funzione di fare fronte alle tensioni attualmente originate dalle modalità contemporanee di trattamento del problema.
Il secondo livello è di ordine strategico, e riguarda la necessità di ristrutturare globalmente la questione così da farla diventare un fatto tecnico, ovvero un’opportunità, invece che un problema.
Su di un piano tattico l’obiettivo è forse quello di ripartire al massimo possibile il disagio, in modo tale che ciascuno si trovi a contribuire in misura analoga alla soluzione così come alla creazione del problema.
L’ideale è che ogni unità di produzione del rifiuto si faccia carico in modo soddisfacente anche del suo trattamento.
L’emergenza attuale può essere affrontata solo se ognuno ha la sensazione che, più o meno, tutti facciano la loro parte.
Su di un piano strategico l’obiettivo è quello di eliminare gli impianti e, con essi, i rifiuti.
Ciò significa attuare una modificazione di immagine, in termini di denominazioni così come di rappresentazioni sociali, analoga ma alternativa rispetto a quella messa spontaneamente in atto dai mezzi di comunicazione di massa.
Ciò significa anche riorganizzare il nostro rapporto con i rifiuti, attraverso il riciclaggio e le modalità di produzione di base, così da ricondurre anche la vita delle cose ad un ciclo che comprenda una forma di rinascita invece che soltanto un abbandono.

Felice Perussia, quarant’anni abbondanti di lavoro psicologico con i gruppi, specie come mastro (e apprendista) di psicodramma & ipnosi, ma anche oltre trent’anni come professore ordinario di Psicologia Generale (Personalità, Storia) all’Università – Faccio base, con un gruppo di brillanti colleghe, principalmente a Milano 3474753143