Dimensioni psicosociali del turismo

 

 

Perussia F., Viano R., “Dimensioni psicosociali del turismo: Una sintesi”

In: Claudio Stroppa, a cura. Mutamento culturale e modelli di turismo. Roma: Bulzoni, 2002, pp. 65-71.
Parte del testo è stata pubblicata, con minime variaizoni, anche su Social Trends, 2003, numero 99, pp. 35-37.

 

Dimensioni psicosociali del turismo: una sintesi
Il movimento e la libertà di movimento rappresentano un’aspirazione diffusa dell’umanità. Il desiderio dell’altrove è una delle esigenze più sentite da chi abita il mondo della modernità. Il fascino dell’esplorazione ha sempre attratto l’uomo, da Ulisse a Cristoforo Colombo a ciascuno di noi.
La possibilità di muoversi a proprio piacimento è uno dei fondamenti giuridici della democrazia. Essa è considerata un corollario dei diritti connessi con l’habeas corpus (il diritto sul proprio corpo), il quale definisce primariamente il diritto di cittadinanza sin dai tempi della Magna Charta. Le limitazioni al movimento sono, principalmente attraverso la carcerazione, il più tipico strumento punitivo delle società moderne.
Molti degli autori che si occupano di turismo (da qualunque punto di vista) sottolineano, non senza stupore, la sproporzione fra l’importanza storico-economico-sociale del fenomeno e la saltuarietà dei contributi scientifici al riguardo. Tale squilibrio è particolarmente denunciato da quegli studiosi che, tentando un approccio in termini di scienze umane, dichiarano volentieri di essere riusciti a trovare una quantità di saggi sugli aspetti psicosociali del fenomeno turistico che stanno sulle dita di una mano (o al massimo di due).
Di fatto, nella maggior parte dei lavori, i titoli citati tendono a essere spesso gli stessi. Potrà allora risultare forse utile un piccolo elenco aggiornato di alcuni riferimenti più ricorrenti: Mc Intosh (1972), Mac Cannell (1976), Smith (1977), Kadt (1979), Burkart e Medlik (1981), Pearce (1982), Costa (1989), Perussia (1989), Medlik (1995), Borocz (1996), Nash (1996), Prentice (1996), Chambers (1997), Gulotta e Mamia (1997), Ross (1998), Tisdell e Roy (1998), Robinson e Boniface (1999), Wang (2000), Wyllie (2000), Meethan (2001), Smith e Brent (2001). Ed è su questo piccolo gruppo di contributi che si basa in effetti molto del dibattito in materia.
Sulla base dei dati e delle riflessioni che vengono riportati in questi testi, si può affermare che ci sono molte e diverse ragioni per spostarsi sul territorio, ma solo una parte di queste può rientrare propriamente nella categoria del turismo. Il che pone un problema generale, a chi si preoccupa di studiare i comportamenti turistici, per il fatto che riesce quasi impossibile definire al dettaglio il proprio oggetto di studio.
Uno dei modi più classici per definire il turista è di natura economica. Si dice allora che il turista è chi spende parte del proprio reddito in una sede diversa da quella in cui lo ha prodotto. In questa definizione ricadono però molti soggetti difficilmente definibili come turisti in senso comportamentale (ad esempio: chi si sottopone a un’operazione chirurgica in un’altra città, un viaggiatore di commercio, chi fa un acquisto per posta, I’equipaggio di una nave militare, ecc.).
La definizione che si basa sullo spostamento di risorse risulta tuttavia utile per la determinazione di aspetti economici dei flussi di trasferimento umani. Essa però non aiuta più che tanto a descrivere la sostanza di una scelta che è, in primo luogo, comportamentale.
Avviene dunque che, in pratica, la maggior parte delle definizioni presenti in letteratura faccia esplicito riferimento a una valenza psicologica di questo fenomeno, ponendo l’accento principalmente sulle motivazioni che spingono al viaggio. Il turista si muove, allora, per diporto. Altrimenti si parla di viaggiatore per ragioni di salute, congressuali, di affari, o anche dell’emigrante.
Il turista, rispetto a chi si muove per altri motivi, tende a essere: temporaneo più che permanente; volontario più che obbligato; intenzionato a tornare nel luogo d’origine più che a fermarsi stabilmente; assente da casa per più di un giorno; mosso da motivi di piacere più che da ragioni di lavoro; interessato principalmente al cambiamento e alla novità. Il turista è caratterizzato dallo spostamento per ragioni di: riposo e rigenerazione; salute; sport; divertimento; attenzione a se stesso; incontro con parenti e amici; religione; lavoro e affari.
Nella tradizione della ricerca sul campo, il turista viene quindi definito dal fatto di avere trascorso delle vacanze e cioè periodi di almeno 3/4 giorni consecutivi (compresi almeno 2/3 pernottamenti), fuori dalla propria abitazione e con allontanamento dall’ambiente frequentato abitualmente, per motivi di piacere, di riposo o di svago.
In pratica: per essere ritenuto tale, il turista deve spostarsi concretamente dalla sua residenza per un periodo abbastanza lungo da produrre un cambiamento esistenziale (dormire-abitare fuori) ma non tanto lungo da trasformare intimamente le caratteristiche della sua vita (poichè altrimenti diviene un emigrante).
L’atteggiamento mentale del turista deve inoltre essere improntato al piacere più che all’adempimento di un obbligo, nel senso che egli deve percepire il proprio viaggio come il prodotto di una libera scelta (sostanzialmente arbitraria) e non di una necessità determinata da circostanze che gli sono esterne.

Le motivazioni psicologiche del turista
Il quadro di riferimento in cui il viaggio si svolge è quello della vacanza e della festa, con qualche punto di contatto con il modello del pellegrinaggio e del carnevale. Il progetto turistico nasce da un desiderio di diversità, curiosità, indipendenza, dalla voglia di allontanarsi dai ritmi uniformi della vita “normale” e dalle restrizioni imposte dai compromessi delle interazioni sociali.
Il viaggio rappresenta una sorta di sospensione del tempo, attuata anche attraverso il contatto con ambienti culturali e artistici lontani dai propri, cui si collega la possibilità di incontri nuovi con gli altri. E’ per certi aspetti un rovesciamento della quotidianità. Il viaggio consiste sostanzialmente nella continua ricerca di un Altrove che si proponga quale alternativa, e complemento, rispetto alla reiteratività del mondo di riferimento abituale.
La condizione del viaggio permette una maggiore libertà, una maggiore attenzione a se stessi e al proprio corpo, nochè il piacevole ripiegamento sula propria intimità che si accompagna al mare e al sole. E’ anche esibizione di consumi lussuosi e adeguamento a una regola assai consolidata nella civiltà di massa.
Le motivazioni principali al viaggio, secondo le varie ricerche condotte al riguardo, sono: riduzione della tensione; arricchimento intellettuale; intimità con la famiglia; avventura esotica; riscoperta di sè; fuga. Vi si possono annoverare anche obiettivi quali, nell’ordine: le visite a parenti o amici; la bellezza del paesaggio; l’atmosfera rilassante; il bel tempo che ci si attende di trovare sul posto; la gente calda e amichevole; la presenza del mare e delle spiagge; il fatto che sul posto è più facile trovare da divertirsi che non a casa; le buone occasioni di campeggio; il basso costo; la possibilità di fare dello sport; la scarsa presenza di altri turisti; i cibi inusuali; I’attrazione esercitata da abitudini di vita differenti; l’essere stranieri sul posto; la vita notturna; le attività culturali; il fatto che gli abitanti del posto non hanno atteggiamenti ostili verso i turisti; il fatto di non conoscere particolari attrattive nella propria regione; lo stimolo di poter riportare indietro qualcosa dei nuovi usi.
Il viaggio per diporto nasce in primo luogo dalla volontà di perseguire la propria autorealizzazione, e secondariamente dal bisogno di amore e di appartenenza reciproca. Solo in ultima istanza esso origina da motivi (bisogni) di ordine più strettamente fisiologico e di riposo del corpo.
In conclusione: il comportamento turistico rappresenta una scelta “gratuita” (che costa molto ma non rende nulla, in termini economici, a chi la pratica), dove entrano in campo esigenze di natura individuale (la rigenerazione psicologica), interpersonale (il contatto con gli intimi) e sociale (la cultura di massa del turismo).
Il tutto si dipana sullo sfondo di una separazione concettuale fra la normalità del luogo di residenza abituale e le eccezionali qualità estetiche, o d’atmosfera, che definiscono per antonomasia la località turistica agli occhi del viaggiatore.

L’immagine turistica
Nel comportamento turistico, come del resto in molti altri modi di essere delgli individui, è dato di notare un gioco reciproco di motivazioni e di immagini. Se le prime inducono alla partenza, è principalmente sulla base delle seconde che si sceglie una meta tra le molte possibili.
Chi sente il desiderio di allontanarsi dalla propria sede abituale ha infatti davanti a sè, con la sola limitazione che deriva dalla disponibilità di tempo e di denaro (limitazione parziale, come dimostrano il turismo sociale e certo “vagabondaggio” giovanile), una gamma pressochè infinita di luoghi in cui recarsi. La sua scelta si baserà quindi sull’immagine che dei vari luoghi si è costruita.
In non pochi casi, il turista decide di partire per un luogo che non conosce direttamente, ma di cui si è fatto appunto un’idea, ovvero non torna in un luogo la cui immagine sperimentata risulta meno attraente delle immagini solo ipotetiche delle altre località.
Pare esservi, tra l’altro, una distinzione di fondo, tra luoghi turistici e luoghi non-turistici, che suggerisce la presenza di una qualità diffusa la quale riunisce tutti i luoghi delle vacanze in una categoria generale, indipendente dai casi specifici. Tale proprietà è relativamente costante, anche se può variare nel tempo o da un individuo all’altro. A determinare quali sedi entreranno nell’una o nell’altra categoria concorrono altresì potentemente i mezzi di comunicazione di massa, le testimonianze di chi è stato sul posto, le guide turistiche.
Vi sono dunque molti indizi secondo cui tutti abbiamo un’idea abbastanza chiara di che cos’è (o dovrebbe essere) una località turistica, mentre ci siamo costruiti una mappa mentale del mondo (relativamente privata ma simile per grandi gruppi) in cui sono dislocate, con un buon grado di differenziazione, le molte diverse immagini di vacanza. Queste appaiono piuttosto chiare, anche relativamente a luoghi cui pure non abbiamo mai avuto occasione di accedere.

Il turista italiano
Accanto alle indagini che si sono proposte di evidenziare le motivazioni psicologiche generali che presiedono alla scelta turistica, ovvero i dati relativi all’immagine dei luoghi di vacanza, vi sono poi diversi lavori che hanno voluto definire più in particolare il profilo del turista italiano, sia in termini di status sociale che di atteggiamento.
Sul piano generale si nota una chiara tendenza all’aumento costante dell’attività turistica (diciamo: almeno 3 notti consecutive fuori casa) tanto in cifra assoluta quanto in percentuale. Sono invece rimaste pressochè fisse nel tempo le giornate medie di vacanza che ciascun turista utilizza ogni anno.
E possibile altresì definire le caratteristiche generali dell’italiano che fa del turismo. Queste tendono infatti a rimanere relativamente stabili negli ultimi trent’anni e a distribuirsi secondo chiare e costanti relazioni con alcune variabili principali.
Appare evidente, dall’insieme dei dati, che vanno in vacanza in misura abbastanza simile sia gli uomini che le donne, anche se le donne trascorrono vacanze un po’ più lunghe. Il turismo coinvolge prevalentemente i giovani e gli adulti (in particolare la fascia dai 20 ai 40 anni), e molto meno le persone di età superiore (specie dopo i 60-65 anni). La percentuale dei turisti, rispetto all’universo dei cittadini, aumenta altresì in proporzione diretta all’aumentare delle dimensioni del comune di residenza.
Vanno in vacanza in misura simile sia i soggetti in condizione professionale (lavoratori a vario titolo) sia quelli in condizione non professionale (che non svolgono un lavoro remunerato). Sono attratti dal turismo soprattutto i dirigenti e gli impiegati, i professionisti, gli imprenditori e i lavoratori in proprio, gli studenti. Le altre categorie, come operai e pensionati, vi sono meno interessate. Vi partecipano i lavoratori di tutti i settori produttivi salvo quelli dell’agricoltura.
Le vacanze vengono trascorse generalmente per periodi non inferiori a una settimana e non superiori alle quattro. La distribuzione della durata delle vacanze non è continua, ma presenta due picchi: uno (maggiore) per i periodi di circa due settimane, e uno (minore) intorno alle quattro settimane. Circa 9 italiani su 10 trascorrono tutte le vacanze in un’unica soluzione durante l’anno.
La località di vacanza preferita è quella marina (attualmente intorno al 60%), seguita dalla montana (sotto il 20%), dalla collinare (sotto il 10%), e infine da giri turistici e crociere, termalismo, ecc. (sotto il 5% ciascuna). Col passare degli anni, la vacanza marina ha guadagnato sempre più terreno, mentre tutti gli altri tipi di soggiorno temporaneo hanno suscitato l’interesse di una percentuale progressivamente minore dei turisti nostrani.
Il mese preferito per trascorrere le vacanze è senz’altro agosto (da metà degli italiani), seguito da luglio (circa un terzo). Tutti gli altri mesi risultano poco interesanti, salvo per i non molti che fanno del turismo invernale. Col passare degli anni la polarizzazione della vacanza verso agosto si è andata accentuando, benchè si sia crescentemente diffusa la pratica del week-end.
Le motivazioni per cui gli italiani non vanno in vacanza, cioè gli ostacoli soggettivamente più difficili da superare per dedicarsi al turismo, sono fondamentalmente di ordine economico e familiare, seguite a distanza dalla mancanza d’abitudine, dal fatto di stare già in un luogo turistico, da ragioni di lavoro, da motivi di salute. Queste motivazioni sono rimaste abbastanza stabili nel tempo, a parte il caso delle ragioni economiche che hanno chiaramente perso d’importanza col passare degli anni.
Il mezzo preferito per andare in vacanza è la propria automobile, mentre si usa molto meno spesso il treno, o l’auto di parenti e amici . Risulta assai limitato l’uso di altri mezzi quali l’autocorriera, la nave, l’aereo, il camper e l’autocaravan, la moto, la bicicletta.
Il raggio d’azione dei turisti italiani è abbastanza vario. La maggioranza non percorre più di 200/500 chilometri, ma c’è chi arriva anche fino a 1.000 o anche molto di più. Le vacanze si trascorrono prevalentemente in una casa: di parenti o amici; presa in affitto; di famiglia. Vengono frequentati anche alberghi e pensioni (da circa un quinto degli italiani), ovvero campeggi e villaggi turistici. Occasionalmente si utilizzano anche le case per ferie di istituti religiosi, le colonie e gli ostelli della gioventù. Il viaggio e il soggiorno, nella grande maggioranza dei casi, non sono organizzati da operatori specializzati ma predisposti sulla base dell’iniziativa individuale.
La percentuale dei turisti cresce in relazione diretta sia con la condizione socio-economica sia con la condizione socio-professionale. Queste stesse variabili influiscono, secondo criteri simili, anche su altri aspetti del comportamento turistico che sono stati rilevati in questa indagine, quali: il pernottamento all’estero, I’uso dell’albergo e quello dell’aereo, I’utilizzo dei servizi di un’agenzia di viaggio, la partecipazione a viaggi organizzati.
Da alcune ricerche psicografiche condotte negli ultimi anni dall’Istituto Eurisko possiamo poi ricavare alcuni dati relativi agli atteggiamenti di sfondo degli italiani nei confronti della pratica turistica in generale.
Risulta che l’aspirazione al viaggio è generalmente molto forte, mentre la pratica turistica viene considerata un valore anche per l’educazione dei giovani. Nel complesso vengono preferite le vacanze riposanti rispetto a quelle eccitanti. Circa un terzo degli italiani presenta invece uno scarso coinvolgimento nel fenomeno.
Andando a rilevare lo “stile di vacanza”, nel complesso si rileva che il genere di turismo preferito dagli italiani è quello di tipo stanziale, detto vacanza-soggiorno, rispetto alla vacanza-viaggio. E’ invece minimo il rilievo delle vacanze in barca, delle crociere e del viaggio per manifestazioni culturali. La vacanza-viaggio incide in funzione diretta con il livello d’istruzione ed è relativamente frequente fin verso i 34 anni per poi diminuire progressivamente.
Più di tre quarti dei turisti italiani rimangono in Italia invece che andare all’estero. Vanno più spesso oltre confine le persone istruite e i giovani. La permanenza in patria rispetto all’estero prevale in tutti i tipi di vacanza, ma in misura assai minore nella vacanza-viaggio che nella vacanza-soggiorno.
Il criterio di scelta del luogo dove trascorrere le vacanze è fondato in primo luogo sul consiglio di parenti e amici, e solo limitatamente sul fatto di essere stati sul posto a vedere, sull’agenzia di viaggio, sui depliants e la pubblicità, sull’ente locale o le guide o gli articoli di giornale.
Entrando ancor di più nel dettaglio degli stili turistici, si rileva che vi sono otto tipi principali di stili turistici degli italiani, identificati da una sigla-simbolo, che può essere utile descrivere qui brevemente. Il tipo più diffuso è quello detto “edonista”, dedito al riposo ed al piacere, disimpegnato, pigro, portato al divertimento, frequentatore delle località più tradizionali. Segue il “narcisista”, desideroso di piacere a sè e agli altri, molto preoccupato di curare il proprio corpo, spesso con buone risorse economiche, portato alla tranquillità. Questi due gruppi comprendono da soli una metà dei turisti italiani.
Vengono poi, in ordine d’importanza, i restanti sei tipi. C’è il “salutista”, spesso ricco o intellettuale, con tendenze ecologiche, anti-industriali ed anti-consumistiche, attento specialmente all’integrità psicofisica; lo “sportivo”, che approfitta della vacanza per esercitarsi; la “talpa”, presente in particolare nella classe media, poco portato a frequentare il mare e ad esibire il corpo; il “dinamico”, sempre in movimento e in viaggio; il “nudista”, interessato all’immersione totale nel sole. Fa gruppo a parte il “precario”, cioè sostanzialmente l’anziano, dalla vita tranquilla e preoccupato specialmente di non subire danni alla salute.

Conclusioni
Volendo sintetizzare questo complesso di dati, anche alla luce della più vasta letteratura sulla vacanza, si può ritenere che il tipo prevalente del turista italiano tende a essere relativamente giovane, di classe sociale media o elevata, istruito, attivo nel terziario impiegatizio e nelle occupazioni autonome più che operaio. Fa del turismo quasi solo in Italia, se pure in una regione diversa da quella di residenza, per lo più al mare, in agosto, risiedendo in casa più che in albergo e servendosi dell’auto, per un periodo di due o di 4 settimane, fermo nello stesso posto, che aveva già frequentato in precedenza. La propensione alla vacanza è forte e crescente; essa viene frenata per lo più solo da motivi economici o da impedimenti temporanei.
Il turista italiano cerca soprattutto svago, divertimento, tranquillità, bagni, sole e socialità. Torna piuttosto soddisfatto dalle sue vacanza, avendo relativamente poco di cui lamentarsi. Persegue uno stile turistico molto centrato su di sè, con connotazioni edoniste e narcisiste, piuttosto sedentario, cauto e moderato se pure non senza qualche diversivo.
La scelta turistica sembra ormai rappresentare un valore in cui identificarsi. Esso è condiviso in specie dalle classi elevate o emergenti, e più ancora dalle persone istruite e dagli intellettuali, specie nel contesto della vita urbana e delle occupazioni più evolute. Risulta solo limitatamente un interesse operaio mentre è quasi l’opposto del modello di vita rurale. Rappresenta più una fuga dalla città che non una compensazione per le fatiche del lavoro.
I turisti più appassionati sono i giovani, specialmente i giovani-adulti. Essi costituiscono la maggioranza di quei pochi che non trascorrono vacanze sedentarie. Sono quelli che si muovono di più; con più intensità ed entusiasmo, che nutrono maggiore interesse nel superamento dei confini nazionali.

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